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03 Dicembre 2025 - 11:01
Negli ospedali piemontesi il confine tra cura e abbandono si misura ormai in giorni, numeri, comportamenti che non possono più essere derubricati a casi isolati. I dati ufficiali raccontano una realtà che negli ultimi due anni - 2024 e 2025 - si è fatta più tesa, più fragile, più lenta. Nelle rilevazioni pubblicate dal DORS Piemonte, il Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute, emergono 1.495 aggressioni contro personale sanitario nel 2023, con 1.790 operatori coinvolti, un dato ricavato dalle registrazioni dell’Osservatorio Nazionale Sicurezza Professioni Sanitarie. La stessa struttura regionale avverte che il numero reale è probabilmente più alto, perché molte aggressioni non vengono denunciate.
Il biennio successivo non ha invertito la rotta. Le aziende sanitarie e le forze dell’ordine hanno confermato episodi sempre più frequenti, come quello recente a Cirié, nell’ottobre 2025, sette operatori del pronto soccorso sono rimasti feriti durante l’intervento su un uomo in stato di agitazione; ad Asti, nello stesso mese, un’infermiera è stata colpita al volto, episodio riportato dai carabinieri; negli ospedali torinesi, dalle segnalazioni interne raccolte nelle direzioni di presidio, emergono quasi duecento episodi nei primi nove mesi del 2025. Non si tratta di percezioni: sono episodi documentati, con referti, verbali, interventi.
Accanto alla violenza, un’altra forma di fragilità si è insinuata ovunque: l’attesa. Un’attesa che non si misura nel folclore mediatico, ma nei pochi dati ufficiali disponibili e nei limiti fissati dal Piano Nazionale di Governo delle Liste d’Attesa (PNGLA), il documento che stabilisce tempi massimi e classi di priorità per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. In teoria, ogni Regione dovrebbe garantire tempi certi; in pratica, la mancanza di dati completi e trasparenti da parte di molte aziende sanitarie rende necessario rivolgersi anche alla “sanità reale”: ciò che accade nei CUP, nelle prenotazioni quotidiane, nelle segnalazioni dei cittadini e nei monitoraggi parziali finora pubblicati.
I primi dati nazionali raccolti dalla Piattaforma Nazionale delle Liste di Attesa (PNLA) mostrano un quadro chiaro: una parte consistente delle prestazioni supera i tempi stabiliti dal PNGLA, soprattutto quelle “programmabili”. Le visite specialistiche e gli esami diagnostici registrano attese che possono protrarsi per settimane o mesi, con forti differenze tra territori e specialità. Particolarmente sensibili restano gli ambiti più fragili, come la psicologia clinica e la neuropsichiatria infantile, dove molte famiglie raccontano attese molto lunghe prima del primo accesso.
Sono ritardi che non appartengono a una singola ASL o a una regione, ma a un sistema che fatica a rispettare i suoi stessi criteri. Si crea così un paradosso: una prevenzione che, proprio a causa dell’attesa, smette di essere tempestiva. E mentre i giorni scorrono, cresce il rischio clinico, cresce l’ansia, cresce l’esasperazione. Una parte della tensione che esplode nei pronto soccorso nasce molto prima dell’arrivo in ospedale: in quelle settimane, a volte mesi, di attesa sospesa che trasformano ogni sintomo in un interrogativo senza risposta.
Nel 2024, durante la campagna elettorale, la sanità era stata presentata come la grande priorità del Piemonte. Il presidente Alberto Cirio prometteva un abbattimento drastico delle liste d’attesa, un piano di assunzioni straordinario, un rafforzamento strutturale della medicina territoriale, pronto soccorso alleggeriti e più sicuri, un sistema sanitario digitale, efficiente, moderno. È sufficiente leggere i materiali ancora consultabili sul programma regionale per cogliere l’ampiezza di quelle promesse.
A fine 2025, la realtà che emerge dai report sanitari e dalle segnalazioni degli operatori mostra una distanza evidente fra l’annuncio e il risultato. Le liste d’attesa non si sono ridotte; in alcune specialità si sono dilatate fino a compromettere la tempestività degli interventi. Il personale sanitario non è aumentato in misura sufficiente a stabilizzare i reparti: turni pesanti, scoperture croniche, difficoltà nella sostituzione dei professionisti che lasciano il servizio restano all’ordine del giorno. Le Case della Comunità - fulcro della riforma territoriale - sono state aperte ma non pienamente operative, perché prive della dotazione organica necessaria per funzionare come centri di presa in carico costante. E nei pronto soccorso, dove avrebbe dovuto manifestarsi il primo effetto positivo del rafforzamento territoriale, continua ad arrivare tutto: chi non trova uno specialista, chi non riesce a prenotare una visita, chi ha un dolore che peggiora, chi vive una solitudine sanitaria che nessun edificio, da solo, può colmare.
In questo scenario si intrecciano le cause della tensione che caratterizza gli ospedali piemontesi. La violenza non è mai giustificata: né contro un medico, né contro un infermiere, né contro un qualunque operatore. Ma la radice di quella violenza - che non scusa, ma spiega - affonda nelle attese interminabili, nella carenza di personale, nella mancanza di sicurezza costante nei reparti e nella percezione crescente di un sistema che fatica a rispondere. Il DORS, nei suoi documenti, richiama da anni la necessità di protocolli applicati con rigore, di formazione adeguata, di vigilanza stabile. Eppure episodi come quelli di Cirié, Asti e Torino dimostrano che non ovunque tali misure sono presenti o realmente efficaci.
Rimane una domanda, semplice e crudele: quanto vale la vita di un piemontese? Una media di 83 giorni per una visita oculistica — quando i criteri nazionali fissano tempi molto più brevi — suggerisce che vale troppo poco. Una risonanza magnetica che arriva dopo tre o quattro mesi dice che vale troppo poco. Duecento aggressioni in nove mesi nei presidi torinesi dicono che vale troppo poco. La sanità non è un tema tecnico o burocratico. Non lo è mai stato. È una linea sottile, a volte invisibile, che separa la diagnosi precoce dalla diagnosi tardiva, il gesto tempestivo dal gesto inutile, il vivere dall’invecchiare nella paura.
Il Piemonte non è un territorio condannato, ma è un territorio che oggi appare stanco. Una sanità può essere curata solo se si riconosce la sua malattia. Il tempo per intervenire non è infinito, e soprattutto non è neutro: ogni giorno non è solo un numero in agenda, è un pezzo di vita che si consuma. Per chi attende, per chi cura, per chi spera ancora che la promessa di una sanità vicina, rapida e sicura possa diventare realtà.
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