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Albania, conti fuori scala: esposto alla Corte dei conti sui centri per migranti. Il caso che ridefinisce la spesa pubblica

Dalla promessa di efficienza alla spirale dei costi: come e perché l’“operazione Albania” è finita sotto la lente di Corte dei conti e Anac

Albania, conti fuori scala: esposto alla Corte dei conti sui centri per migranti. Il caso che ridefinisce la spesa pubblica

Giorgia Meloni

Una cancellata nuova di zecca, il vento che piega i teli di recinzione, i fari accesi su un piazzale semivuoto. A Gjadër, nell’entroterra albanese, l’“hub” italiano per la gestione dei migranti è rimasto attivo per pochi giorni, abbastanza però da lasciare cifre che stonano con qualsiasi logica amministrativa. A fine marzo 2025, ogni posto allestito in quel centro è costato oltre 153.000 euro: un importo che supera ogni parametro comparabile e che ha spinto ActionAid a presentare un esposto di 60 pagine alla Corte dei conti e una segnalazione all’Anac su appalti e affidamenti che hanno fatto lievitare i costi ben oltre quelli di strutture analoghe in Italia.

Il Protocollo Italia–Albania, firmato il 6 novembre 2023 e ratificato con la legge 21 febbraio 2024 n. 14, era nato come risposta rapida all’“emergenza” sbarchi: due aree in territorio albanese, Shëngjin per gli arrivi e Gjadër per il trattenimento, poste sotto giurisdizione italiana per snellire le procedure e alleggerire la pressione sulle coste siciliane. La ratifica è entrata in vigore il 23 febbraio 2024 e il protocollo ha assunto efficacia internazionale per l’Italia dal 25 marzo 2024. Nel frattempo, con il passaggio delle competenze alla Difesa e nuove coperture economiche, l’operazione ha imboccato la corsia preferenziale dei cantieri speciali. Ma la promessa si è presto scontrata con la realtà degli appalti diretti e con un utilizzo effettivo pressoché nullo nel 2024.

Secondo la ricostruzione di ActionAid e dell’Università di Bari contenuta nell’esposto e nella piattaforma “Trattenuti”, il costo dei centri in Albania ha raggiunto i 73,48 milioni di euro impegnati per gli allestimenti a fine marzo 2025, a fronte di bandi per circa 82 milioni e contratti già stipulati per oltre 74 milioni. Più di 61 milioni risultano già erogati, in gran parte a esito di procedure non competitive. L’associazione ha segnalato all’Anac criticità nella maxi-gara da 133 milioni per la gestione, chiedendo verifiche mirate. A Gjadër, erano disponibili 400 posti: per costruirli – includendo la struttura non alloggiativa di Shëngjin – sono stati firmati contratti per circa 74,2 milioni. Il risultato, oltre 153.000 euro per posto, regge malissimo il confronto con gli allestimenti italiani.

I numeri messi in fila da ActionAid fissano infatti un benchmark impietoso. Nel 2024, il Ctra di Porto Empedocle è costato circa 1 milione per 50 posti: poco più di 21.000 euro a posto. Ancora più netto il dato del Ctra di Modica, inaugurato nel 2023: oltre 1,65 milioni per l’allestimento, pari – secondo le stime dell’associazione – a poco più di 6.400 euro per posto nella fase iniziale, poi aumentati con la piena operatività. Il divario è evidente: fino a 11 volte rispetto a Modica e circa 7 rispetto a Porto Empedocle. Ed è questo scarto a fondare il sospetto di danno erariale.

La sproporzione non riguarda solo i lavori. Nei pochi giorni di attività registrati nel 2024, alla cooperativa Medihospes sono stati pagati circa 570.000 euro: quasi 114.000 euro al giorno per trattenere 20 persone, rimesse poi in libertà dopo poche ore. Un dato confermato da più riscontri giornalistici e che ha ulteriormente infiammato lo scontro politico. La legge di ratifica aveva stanziato 39,2 milioni; con il successivo “Decreto PNRR 2”, le competenze sono passate alla Difesa e le risorse sono salite a 65 milioni, aprendo la strada a procedure e contratti che nel giro di pochi mesi hanno superato i 74–82 milioni. Nel 2024, la spesa per vitto e alloggio del personale di polizia impiegato in Albania avrebbe superato i 500.000 euro, con costi giornalieri in alcuni momenti fino a 18 volte quelli di un Cpr italiano come Macomer. Intanto, il sistema nazionale, tra 11 Cpr e 3 Ctra, chiudeva l’anno con un tasso di utilizzo intorno al 46% e oltre un quinto dei posti vuoti.

L’esposto alla Corte dei conti chiede di verificare se la catena di decisioni politiche e tecniche abbia prodotto un pregiudizio per l’erario: non solo per l’entità delle somme spese, ma per l’assenza di risultati concreti. Il centro albanese, nella fase di avvio, è rimasto operativo appena cinque giorni nel 2024, con funzionalità ridimensionate dopo stop giudiziari e rilievi di legittimità. Il governo, per correre ai ripari, ha rimodulato il progetto trasformandolo in un hub per i rimpatri dei respinti, in attesa del verdetto della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) sulla compatibilità del modello con il diritto UE.

La legge n. 14/2024 definisce le aree di Shëngjin e Gjadër come zone di frontiera o transito in cui si applica la legge italiana, con competenza degli uffici giudiziari di Roma. È il meccanismo che ha consentito udienze da remoto e convalide a distanza. Ma il giudizio della CGUE, sollecitato dai ricorsi delle persone trasferite, resta aperto su nodi cruciali: la qualificazione dell’Albania come “Paese terzo sicuro”, la tutela delle persone vulnerabili – inclusa la comunità LGBTQ+ – e la compatibilità dell’esternalizzazione della detenzione amministrativa con il quadro europeo. Il parere dell’Avvocato generale, atteso tra primavera ed estate 2025, potrebbe incidere anche sulle valutazioni della magistratura contabile.

Le cifre del dossier hanno alimentato critiche politiche trasversali. La segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, ha parlato di “spreco” e chiesto trasparenza al governo guidato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L’esecutivo ha difeso la linea: il premier albanese Edi Rama è stato indicato come partner strategico, lontano dal modello Regno Unito–Ruanda, e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il ministro degli Esteri Antonio Tajani hanno ribadito la coerenza giuridica dell’intesa, annunciando correttivi per usare i centri come hub per i rimpatri. Resta però il dato più ostico: i rimpatri effettivi nel biennio 2023–2024 sono rimasti bassi a fronte di costi sempre più elevati.

Il rendimento complessivo dei Cpr e dei Ctra è uno dei nodi strutturali. Con l’apertura del Ctra di Modica nel 2023 e di Porto Empedocle nel 2024, la nuova filiera del trattenimento “di frontiera” avrebbe dovuto accelerare i procedimenti. L’analisi indipendente di ActionAid/UniBa parla invece di un “disastro finanziario”: rimpatri attorno al 10% su scala nazionale e appena 5 rimpatri su 166 persone transitate a Modica e Porto Empedocle nel 2024, circa il 3%. A Gjadër, la permanenza delle persone trasferite nel 2024 è durata poche ore, segno di una macchina procedurale non ancora allineata tra frontiera esterna, tutela giurisdizionale e tempi della detenzione amministrativa.

Le contestazioni di ActionAid, in fondo, ruotano attorno a quattro assi: costi unitari fino a 11–18 volte superiori agli standard italiani; ricorso generalizzato agli affidamenti diretti; utilizzo effettivo minimo; allocazione di risorse sottratte ad altri capitoli sensibili – giustizia, sanità, welfare – senza benefici tangibili sui rimpatri. La cornice giuridica della legge n. 14/2024, che applica il Testo unico immigrazione e le direttive UE “in quanto compatibili”, è soggetta al vaglio della CGUE, chiamata a chiarire se l’architettura complessiva rispetti garanzie e limiti del diritto europeo. In attesa della decisione di Lussemburgo, il governo ha scelto di concentrare l’uso dei centri sulla funzione di rimpatrio, riducendo la parte dedicata al triage delle domande d’asilo.

Sul fronte interno, il sistema italiano della detenzione amministrativa – 11 Cpr e 3 Ctra tra il 2023 e il 2024 – disponeva formalmente di 2.555 posti, ma la capacità effettiva è scesa a 1.164 per danneggiamenti, proteste e carenze infrastrutturali. Un divario che incide su tempi di trattenimento, trasferimenti, qualità dei presidi e costi di manutenzione. L’incremento degli investimenti non ha prodotto un aumento proporzionale dei rimpatri, alimentando un dibattito su efficacia e sostenibilità finanziaria.

L’apertura del fascicolo della Corte dei conti non equivale a una condanna, ma avvia una verifica sulla proporzionalità delle scelte pubbliche e sulla responsabilità amministrativa. La segnalazione all’Anac potrà produrre rilievi sulle gare e orientamenti per prevenire che l’urgenza diventi prassi. La linea del governo è quella di puntare sull’“asse con Tirana”, sostenendo che la riconversione dei centri in hub per i rimpatri consentirà di ridurre i costi unitari grazie a continuità e economie di scala. Una scommessa politica che dovrà superare tre ostacoli: la decisione della CGUE, l’analisi della Corte dei conti e la capacità di far funzionare l’infrastruttura albanese in modo efficace e rispettoso dei diritti.

A prescindere dagli esiti giudiziari, il caso Albania impone una lezione semplice: progetti complessi all’estero richiedono una due diligence pubblica, trasparente, con dati accessibili su bandi, contratti e milestone. Rendere open data i flussi economici della Difesa, della Prefettura di Roma e del gestore Medihospes non è un vezzo, ma l’unica risposta possibile a un buco nero contabile. Il confronto con i Ctra di Modica e Porto Empedocle lo dimostra: strutture imperfette, certo, ma con costi per posto di tutt’altra scala e una catena decisionale interamente interna al perimetro italiano. Ed è su questa metrica che si misura la credibilità di ogni progetto alternativo. Perché, quando si parla di denaro pubblico, il silenzio non esiste. E i numeri – oggi – dicono che, in Albania, l’equazione dell’efficienza non torna.

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