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30 Novembre 2025 - 19:04
In un seggio di Zurigo, poco prima delle 16 del 30 novembre 2025, le urne erano già sigillate. Lo spoglio-lampo confermava ciò che nei corridoi della politica si sussurrava da giorni: sarebbe stata una domenica senza suspense. Non c’è stato un solo comune disposto a dire sì al servizio civico obbligatorio e la proposta di tassare al 50% le eredità superiori a 50 milioni di franchi per finanziare le politiche climatiche ha subito la stessa sorte. Il verdetto parla la lingua della prudenza elvetica e segna una linea chiara: estendere gli obblighi civici e ridisegnare la fiscalità delle grandi ricchezze, oggi, non convince la Svizzera. Secondo i dati diffusi dai media pubblici, il “no” al servizio civico supera l’84% e quello alla cosiddetta “tassa climatica” oscilla attorno al 78–79%, con una partecipazione poco sotto il 43%.

Il risultato è schiacciante in tutti i cantoni e riguarda anzitutto l’iniziativa “Per una Svizzera che si impegna”, conosciuta come Service citoyen. Il progetto avrebbe trasformato l’attuale obbligo di servire in un servizio civico esteso a tutta la popolazione, da svolgersi nell’esercito, nella protezione civile o in altri servizi di milizia riconosciuti. La bocciatura, tra l’84,1 e l’84,2%, non ha lasciato scampo: nessuno dei 26 cantoni ha approvato la riforma, facendo mancare quel doppio sì – popolare e cantonale – richiesto dal sistema svizzero. Colpisce il dato simbolico: non c’è stata una sola delle 2.100 comunità locali in cui il progetto sia riuscito a prevalere.
Il secondo responso riguarda l’iniziativa “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo”, ribattezzata Iniziativa per il futuro e lanciata dalla Gioventù Socialista (JUSO). La proposta prevedeva un’imposta federale sulle eredità e donazioni oltre la soglia dei 50 milioni di franchi, con un’aliquota del 50% sulla sola parte eccedente, destinando il gettito al percorso verso la neutralità climatica entro il 2050. Anche qui l’esito è netto: 78,3% di voti contrari su scala nazionale e nessun cantone favorevole.
Dietro queste percentuali si muoveva un dibattito acceso. Il servizio civico obbligatorio mirava a “rilanciare” la tradizione di milizia svizzera estendendola a donne e uomini e includendo compiti di resilienza legati a incendi, frane, alluvioni, sicurezza alimentare, sostegno agli anziani e perfino contrasto ai cyberattacchi. I promotori, riuniti nell’Association Service Citoyen, parlavano di una Svizzera più coesa e capace di mobilitare forze anche al di fuori del perimetro militare. Il Consiglio federale e il Parlamento federale avevano però raccomandato il no, temendo un aumento dei costi, ripercussioni sul mercato del lavoro e un ulteriore carico sulle donne, già esposte a un forte squilibrio nel lavoro di cura non retribuito.
Sul fronte fiscale, l’obiettivo della JUSO era duplice: equità e finanziamento della transizione climatica. Secondo le stime circolate nel dibattito, i contribuenti interessati sarebbero circa 2.500, con patrimoni cumulativi di centinaia di miliardi. Due terzi del gettito sarebbero stati destinati alla Confederazione e un terzo ai cantoni. Il punto più contestato era l’assenza di eccezioni per il passaggio generazionale delle imprese familiari, un tema caro agli ambienti economici.
Una lettura locale del voto arriva dai cantoni di Vaud e Neuchâtel. Nel primo il “no” al servizio civico ha raggiunto l’87% e quello all’iniziativa fiscale il 70,6%, con una partecipazione oltre il 41%. Nel secondo i rifiuti sono stati rispettivamente dell’84,9% e del 68,6%, con affluenza al 36,4%. Mappe che mostrano un rigetto omogeneo, con differenze minime tra regioni linguistiche e culturali.
Il perché di questo doppio no emerge da tre fattori ricorrenti. Il primo riguarda il timore che un obbligo universale di servizio avrebbe aggravato la pressione sul mercato del lavoro, già segnato da una forte richiesta di manodopera qualificata. Secondo il governo, esercito e protezione civile dispongono oggi del personale necessario, rendendo superfluo un ampliamento forzato. Il secondo fattore è la difesa del modello fiscale svizzero, fondato su stabilità e autonomia cantonale. I critici della tassa climatica – tra cui rappresentanti del mondo bancario e una parte dell’imprenditoria – hanno evocato il rischio di una fuga dei grandi patrimoni, con effetti destabilizzanti su gettito e attrattività. Il terzo fattore riguarda la percezione di un carico aggiuntivo sulle donne: imporre un obbligo di servizio in un contesto familiare già squilibrato è apparso a molti come un passo indietro nella parità.
Le campagne riflettono questa divisione. I promotori del servizio civico hanno legato la loro iniziativa ai temi della resilienza nazionale e della risposta alle crisi climatiche, parlando di una cittadinanza attiva in cui “tutti danno una mano”. Ma il progetto non aveva trovato sponde neppure in Parlamento: nel marzo precedente era stato respinto dal Consiglio nazionale con 166 voti contrari e 19 favorevoli. Sul fronte fiscale, la JUSO ha puntato su uno slogan di giustizia intergenerazionale, sostenendo che “gli ultraricchi ereditano miliardi, mentre i giovani ereditano crisi”. Le élite economiche hanno però alzato barriere durissime: il mondo bancario ha definito la misura “estremamente pericolosa”, una “bomba nucleare” sulla piazza finanziaria. La ministra delle Finanze Karin Keller-Sutter ha parlato apertamente di un segnale negativo per investitori e nuovi residenti.
Per capire cosa è in gioco occorre guardare all’architettura attuale. Sul fronte della leva, gli uomini svizzeri sono tenuti al servizio militare o alla protezione civile; gli obiettori possono optare per il servizio civile; chi non serve paga una tassa di esenzione. Le donne possono arruolarsi volontariamente. L’iniziativa bocciata avrebbe trasformato queste regole in un dovere universale. Sul fronte delle successioni non esiste un’imposta federale: ogni cantone decide in autonomia e molti esentano i trasferimenti in linea diretta. L’iniziativa JUSO avrebbe introdotto una deroga federale mirata ai grandi patrimoni.
A livello europeo il voto svizzero arriva mentre altri paesi discutono se rafforzare o reintrodurre forme di leva. Nel contesto di minacce ibride e aumento delle instabilità, il “no” elvetico suona come un richiamo al realismo: la sicurezza si costruisce senza obblighi generalizzati che rischino di pesare su economia e parità di genere. Sul fronte fiscale il segnale è altrettanto netto: il paese che ha fatto della stabilità il proprio marchio non intende sperimentare imposte straordinarie sui grandi patrimoni, nemmeno per finalità climatiche.
Cosa succede ora? Le urne chiudono i dossier ma non i problemi. Sul servizio civico resta aperto il tema delle carenze in alcuni corpi, del progressivo invecchiamento demografico e della necessità di volontariato organizzato in caso di eventi estremi. Il governo e il Parlamento potrebbero orientarsi verso misure mirate, come incentivi al volontariato, riconoscimento delle competenze acquisite nella protezione civile e percorsi formativi più agili per gestire emergenze. Le Camere hanno sempre mostrato scetticismo verso l’obbligo universale, ma non hanno escluso interventi puntuali.
Sulla tassa climatica resta irrisolto il nodo del finanziamento della transizione. È probabile che il confronto si sposti su strumenti meno invasivi: potenziamento del mercato del carbonio, incentivi a tecnologie pulite, revisione dei sussidi dannosi all’ambiente e maggiore collaborazione pubblico–privato per i settori più difficili da decarbonizzare. Il principio evocato dalla JUSO, quello della giustizia intergenerazionale, resta sul tavolo: chi pagherà i costi della neutralità? Gli elettori hanno respinto la via patrimoniale, non il problema.
Il governo federale, che aveva chiesto il “no” a entrambe le iniziative, esce politicamente rafforzato. Ma la ministra Karin Keller-Sutter lo ha ricordato subito dopo lo scrutinio: una vittoria non è un lasciapassare, perché i timori sollevati dal dibattito restano. La responsabilità ora è trasformare questa prudenza collettiva in politiche efficaci e credibili.
In controluce, il voto di domenica 30 novembre 2025 restituisce l’immagine di un paese che, quando si tratta di obblighi e tasse, preferisce la misura all’azzardo. È un doppio “no” che non chiude la partita, ma la rimette in agenda con strumenti diversi. Domani, tra sicurezza, lavoro e clima, la Svizzera sarà di nuovo chiamata a scegliere come costruire il proprio futuro, senza slogan e senza scorciatoie.
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