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La Voce degli animali

Abbandonato e ferito, Zorro rinasce tra le mani di chi non ha voltato lo sguardo

La storia del cane soccorso dal rifugio Casa del cane vagabondo: un intervento urgente, una raccolta fondi di 380 euro e l’impegno dei volontari e dei Dipartimenti della Lega per accompagnarlo nella lunga convalescenza.

Abbandonato e ferito, Zorro rinasce tra le mani di chi non ha voltato lo sguardo

Abbandonato e ferito, Zorro rinasce tra le mani di chi non ha voltato lo sguardo

Quando Zorro arriva al rifugio Casa del cane vagabondo di Barbania, è come se la sua storia si presentasse tutta insieme, senza bisogno di spiegazioni. Il corpo ferito, le difficoltà a muoversi, la stanchezza profonda che solo chi ha sofferto a lungo conosce: ogni dettaglio è un indizio. Nessuno sa cosa sia accaduto davvero, ma non è difficile immaginare un cane lasciato solo proprio nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di qualcuno. Un abbandono che non ha testimoni, ma che ha conseguenze evidenti.

I volontari del rifugio, abituati a vedere animali in difficoltà, capiscono subito che non sarà un caso semplice. Lo affidano ai veterinari che, dopo gli esami, confermano quello che le prime impressioni lasciavano intendere: le ferite interne sono gravi. Serve un intervento urgente. Non uno di quelli rinviabili. Uno di quelli che segnano la linea sottile tra il farcela e no.

L’operazione viene eseguita, ed è un passaggio decisivo. Non garantisce la guarigione, ma almeno apre una possibilità. Zorro supera la fase più rischiosa, poi inizia quella lenta, quotidiana, fatta di medicazioni, pappe specifiche, controlli costanti. Una convalescenza che ha un costo economico importante per qualunque rifugio, soprattutto in un periodo in cui le entrate sono sempre poche e le necessità sempre tante.

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Ed è proprio questo bisogno concreto – non teorico, non narrato, ma pratico – a far scattare la mobilitazione del Dipartimento Tutela del benessere degli animali della Lega del Canavese e delle Valli di Lanzo. Una rete territoriale che, senza grandi annunci, nel giro di una settimana mette insieme 380 euro. Soldi raccolti attraverso passaparola, piccoli contributi, donazioni spontanee. Non cifre eroiche: cifre reali, che servono a pagare la degenza, i farmaci, il cibo speciale. Il necessario, insomma.

Astrid Sento, responsabile regionale del Dipartimento, chiarisce che questo intervento non è un episodio isolato ma parte di un percorso più ampio. Racconta che il 21 dicembre torneranno al rifugio, trascorrendo lì una giornata di volontariato prima delle feste. L’obiettivo è semplice: dare una mano. Non con slogan, ma con lavori concreti, come portare coperte, cibo, materiali utili, aiutare nell’accudimento dei cani e dei cavalli ospitati nella struttura. Più di cento animali, ognuno con la propria storia, i propri tempi, i propri limiti.

Paolo Canetto, responsabile del Dipartimento per il Canavese e le Valli di Lanzo, ricorda come la raccolta fondi sia nata proprio per dare una possibilità a Zorro: una possibilità di vivere che, senza quei 380 euro, sarebbe stata più fragile. Sottolinea che il cane è arrivato in rifugio senza cure e senza che fosse spiegata la natura delle ferite. È stato il personale del rifugio, con attenzione e professionalità, a intuire la gravità della situazione e ad avviare il percorso che oggi gli sta salvando la vita.

Infine, Sara Garino, coordinatrice provinciale dei Dipartimenti, insiste sulla necessità di un confronto diretto con chi, ogni giorno, si occupa di tutela animale sul territorio. La prospettiva è chiara: il rispetto per gli animali non è un elemento marginale della vita di una comunità, ma un tassello che influisce anche sul benessere delle persone. Nelle sue parole non c’è retorica, ma la constatazione che le fragilità – umane e animali – spesso si toccano, si sfiorano, e vanno affrontate con strumenti concreti.

Zorro intanto continua il suo percorso. Non è ancora al termine, e non è detto che tutto sarà semplice. Ha bisogno di tempo, di cure, di calma. Ma ora è in un luogo dove i giorni non sono più scanditi soltanto dal dolore. Ha occhi che lo osservano, mani che lo accudiscono, e una comunità che — pur non conoscendolo — ha deciso di sostenerlo.

La sua è una storia che non si presta a grandi titoli o a gesti plateali. È una storia fatta di passaggi lenti, di piccole decisioni prese al momento giusto, di persone che hanno scelto di intervenire quando serviva. Una storia che dice, senza bisogno di dichiararlo, che il confine tra l’abbandono e la cura può essere sottile. E che, qualche volta, basta poco per spostarlo dalla parte giusta.

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