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29 Novembre 2025 - 00:56
David con la testa di Golia Guido Reni (Bologna 1575 -1642)
Il Davide che contempla la testa di Golia che Torino non rivedrà (quasi) mai più è finito dove, da sempre, il denaro corre più veloce della memoria: a Parigi. Nella sala d’aste Artcurial & Millon sugli Champs-Élysées, il dipinto di Guido Reni – un fantasma delle collezioni sabaude per due secoli e un quarto – è stato aggiudicato a una cifra che, secondo indiscrezioni filtrate dalla stampa italiana, sfiora i 10 milioni di euro, quasi il triplo rispetto alla stima iniziale di 2-4 milioni pubblicata nel catalogo.
Per i Musei Reali di Torino, impegnati negli ultimi mesi a un disperato tentativo di rimpatrio, il sogno finisce qui: rilanci continui, una competizione globale feroce e un conto finale semplicemente insostenibile per qualsiasi museo pubblico italiano. E il “caso” – mentre l’Italia lo racconta come un’occasione perduta – all’estero diventa altro: una storia da romanzo, una resurrezione critica, un colpo di scena del mercato internazionale.

Se in Italia si piange la perdita, in Francia si celebra il ritrovamento. Blog e riviste specializzate hanno insistito soprattutto sul lato romanzesco: la tela, rimasta per quasi due secoli e mezzo nella stessa famiglia francese, era considerata una copia fino a pochi mesi fa. A cambiarne il destino è stato un professore universitario, che ha fiutato la possibilità di un autografo, poi confermato dai periti del celebre cabinet Turquin. Databile intorno al 1605, il dipinto è risalito così vertiginosamente nella gerarchia delle opere note del maestro bolognese.
La stampa francese ha dedicato spazio anche al tour internazionale che ha preceduto l’asta: prima l’Hôtel Drouot in settembre, poi una galleria di Madison Avenue a New York a ottobre, infine il rientro a Parigi per l’esposizione finale del 21-24 novembre. Stima immutata, interesse crescente. Mentre Torino arrancava nella ricerca di sponsor, l’opera diventava un oggetto del desiderio per collezionisti di mezzo mondo.
Un altro elemento di rilievo – poco considerato in Italia e molto nel dibattito internazionale – riguarda la nuova classificazione tipologica dei David e Golia di Reni, proposta dallo storico dell’arte Corentin Dury. La tela venduta appartiene al tipo “Créquy/Este”, particolarmente vicino alla versione del Louvre. Altre varianti, attribuite al maestro o al suo atelier, si trovano oggi a Firenze, Orléans, Dresda e Osnabrück.
Ricostruire la storia di questo dipinto significa attraversare tre secoli di guerre, diplomazia e collezionismo europeo.
Secondo il dossier Artcurial, il primo proprietario fu Francesco I d’Este, duca di Modena, che lo acquistò da Guido Reni a Roma tra il 1605 e il 1606. Successivamente la tela passò a Eugenio di Savoia, l’eroe di Torino e di Vienna, ed entrò nella sua celebre galleria del Belvedere. Alla morte del principe, gran parte della collezione venne ereditata da Carlo Emanuele III di Savoia, che la trasferì a Torino, nel Palazzo Reale. Qui il dipinto trovò posto nella Galleria del Beaumont (oggi Armeria Reale) dentro una cornice in marmo disegnata da Benedetto Alfieri.
La svolta arriva nel 1800. Dopo Marengo e l’occupazione francese, il generale Pierre-Antoine Dupont de l’Étang si appropriò del dipinto e lo portò in Francia “nei suoi bagagli”, come ricordano senza eufemismi le fonti francesi.
Il passaggio più controverso non compare nei comunicati, ma negli archivi. Come ha ricordato Finestre sull’arte, lo storico Alessandro Baudi di Vesme, direttore della Sabauda a cavallo tra Ottocento e Novecento, annotò che l’opera era stata “requisita per la Nazione francese” dal generale Dupont. Eppure nell’elenco ufficiale del 1799 delle opere di Reni trasferite in Francia il dipinto non compare.
Gli studiosi ritengono dunque che il trasferimento avvenne per via privata, al di fuori dei canali ufficiali, forse addirittura prima del 1783, anno in cui appare in un catalogo d’asta parigino un David tenant la tête de Goliathattribuito a Reni. Una zona grigia del diritto bellico: un’opera appartenuta alla Corona sabauda, sottratta in circostanze opache, rimasta per oltre due secoli nella stessa famiglia e oggi sul mercato senza che – stando alle fonti disponibili – l’Italia abbia mai avanzato una rivendicazione formale.
Non è il primo caso. Nel 2012 anche Sotheby’s aveva battuto un David with the Head of Goliath con possibile provenienza Este-Savoia. Le ricerche più recenti, però, sembrano indicare che la tela venduta ora a Parigi sia quella più coerente con il pagamento estense del 1633. In altre parole: Torino perde due volte lo stesso quadro. Nell’Ottocento per sottrazione; nel 2025 perché il riconoscimento autografo arriva troppo tardi.
Non è solo un frammento mancante delle collezioni sabaude. È un punto di svolta nella storia della pittura italiana: un equilibrio sottilissimo tra il naturalismo caravaggesco e il classicismo bolognese. Artcurial parla di un dipinto che “risistema la scena pittorica romana” intorno al 1605-1606: la luce caravaggesca si mescola alla morbidezza dei Carracci; la figura di David, quasi androgina, emerge da un chiaroscuro lunare; la testa di Golia è resa con crudezza chirurgica, ma la violenza si sospende nel gesto meditativo del giovane eroe.
Il successo dell’iconografia si misura nel numero di versioni autografe e atelier: Louvre, Uffizi, Orléans, Dresda, Osnabrück. In Francia, il David tenant la tête de Goliath di Orléans – considerato a lungo una copia – è oggi ritenuto un capolavoro autografo dopo una campagna di restauri e indagini.
La vendita arriva mentre l’Europa riscopre sistematicamente Guido Reni. Tra il 2022 e il 2023 il Prado e lo Städel Museum gli hanno dedicato grandi retrospettive, poi riprese a Orléans. Reni – nato a Bologna nel 1575, cresciuto tra Calvaert e i Carracci – fu uno dei pittori più richiesti d’Europa. Il suo capolavoro più celebrato resta l’Aurora a Palazzo Rospigliosi, un manifesto del barocco classicista.
Dietro il mito del “divino Guido”, però, c’è un uomo fragile: giocatore compulsivo, indebitato, costretto a mantenere un ritmo di produzione serrato nel suo atelier bolognese, organizzato quasi come una piccola industria. Da questo sistema nascono anche le serie dei David con la testa di Golia.
Il paradosso è evidente: mentre la tela vola a Parigi (o forse altrove), la Galleria Sabauda celebra proprio in questi mesi i 450 anni dalla nascita di Reni con la mostra “Il divino Guido Reni nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte”. Veder rientrare il David, anche solo per un prestito temporaneo, sarebbe stato un risarcimento simbolico.
L’unica speranza, ora, è che il dipinto sia finito non in una collezione privata chiusa, ma in un grande museo internazionale disponibile al prestito. Possibile? Sì. Probabile? Molto meno.
Resta una domanda più ampia, che Torino – e l’Italia – dovranno prima o poi affrontare:
quante altre opere uscite in zona grigia dalle collezioni pubbliche tra Sette e Ottocento dormono ancora nei salotti europei, in attesa dell’occhio giusto e del catalogo d’asta di domani?
E soprattutto: abbiamo ancora gli strumenti, politici ed economici, per riportarne a casa almeno qualcuna?
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