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Luxottica, dentro la trattativa di Lauriano: come uno stabilimento di provincia è diventato il laboratorio della settimana corta che può cambiare l’Italia

Volumi, investimenti e organici: i tre pilastri che hanno sbloccato la trattativa

Luxottica, dentro la trattativa di Lauriano: come uno stabilimento di provincia è diventato il laboratorio della settimana corta che può cambiare l’Italia

Luxottica, dentro la trattativa di Lauriano: come uno stabilimento di provincia è diventato il laboratorio della settimana corta che può cambiare l’Italia

A Lauriano, un comune di poco più di un migliaio di abitanti affacciato sul Po, in provincia di Torino, qualcosa si è mosso nelle scorse settimane all’interno dello stabilimento EssilorLuxottica.

Non è stato un annuncio pubblico né una delle tante promesse che circolano quando le aziende parlano di “innovazione organizzativa”. È stata una trattativa silenziosa, a tratti tesa, che l'altra sera ha prodotto un risultato senza precedenti per l’industria italiana: la settimana corta estesa all’intero sito produttivo chivassese, dove sono occupati un migliaio circa di lavoratori.

Ricostruire come si è arrivati fin qui significa guardare oltre l’accordo formale. Perché la vicenda di Lauriano è il punto d’incontro tra tre dinamiche che di solito viaggiano su binari separati: competitività globale, qualità del lavoro e trasformazione dei modelli produttivi. In questo caso, quei binari si sono toccati.

La negoziazione si è bloccata più volte. Secondo diverse fonti interne — sia sindacali sia aziendali — le prime richieste presentate da EssilorLuxottica non avevano convinto. C’era il rischio di ridurre l’esperimento T4Y a un contenitore troppo elastico, con poche garanzie su volumi e organici. Per giorni è circolata l’ipotesi che l’accordo potesse naufragare. Poi il baricentro è cambiato: l’azienda ha accettato di discutere su ciò che i sindacati consideravano imprescindibile, cioè investimenti certi, volumi di produzione definiti e organici non compressi.

È su questa base che nella serata del 25 novembre è stata chiusa l’intesa.

Il modello approvato prevede quattro giorni lavorativi con parità salariale e un sistema di monitoraggio continuo dei volumi. Non un sacrificio produttivo, ma un nuovo metodo per distribuirlo: l’assetto full time 15+5, che libera cinque giornate di lavoro al mese mantenendo gli stessi livelli retributivi. Per riuscirci, serve una regia industriale rigorosa. Non sarà un passaggio semplice: alcuni reparti, già ora sotto pressione, dovranno riorganizzare turni e flussi.

Dietro la scelta c’è un dato spesso ignorato nei comunicati: la filiera dell’occhialeria sta affrontando la transizione verso Smart Glasses e wearable, un settore che richiede velocità decisionale e capacità di adattamento. Lauriano, pur essendo lontano dalle metropoli dove nascono le strategie globali, diventa un laboratorio per capire se l’Italia può reggere quel ritmo senza consumare chi nelle fabbriche ci lavora.

Nella versione finale dell’accordo compare anche un’altra voce: il premio qualità 2026, separato dal premio di produzione nonostante l’iniziale volontà aziendale di accorparlo. Una scelta che, secondo i sindacati, evita il rischio di “rimodulare al ribasso” ciò che esiste già. L’azienda, dal canto suo, sostiene che il nuovo schema servirà ad aumentare la partecipazione dei reparti alle decisioni operative. Ha in programma l’avvio di una rete interna di ascolto, uno strumento che, se funzionerà, potrà ridurre la distanza — spesso ampia — tra chi gestisce i processi e chi li esegue ogni giorno.

Nei prossimi giorni il testo passerà alle assemblee. Ma la storia non si chiude qui. Resta da verificare se il modello sarà davvero sostenibile. Il monitoraggio dei volumi sarà il punto critico: se i numeri scendono, la settimana corta diventa fragile; se reggono, l’esperimento potrà essere replicato in altri stabilimenti italiani, modificando l’equilibrio tra produttività e diritti in un settore che vale miliardi.

L’accordo di Lauriano racconta un’Italia diversa da quella che di solito emerge nel dibattito pubblico: non l’Italia dei proclami, ma quella che costruisce risultati nei corridoi di una fabbrica, negli uffici di un coordinamento sindacale, nei verbali di una trattativa durata settimane.

È un caso locale solo sulla carta. Perché ciò che è accaduto qui — un piccolo comune che prova a riscrivere la settimana lavorativa — può aprire una domanda più grande: quanto è disposto a cambiare davvero il sistema produttivo italiano pur di restare competitivo?

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