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Neonata morta ad Acerra, l’autopsia cambia tutto: esclusa la frattura del collo. Fatale la "stretta" del pitbull

La relazione medico-legale smentisce l’ipotesi iniziale e chiarisce una dinamica feroce quanto istantanea: la piccola sarebbe morta per una “presa” al collo. Fascicolo per omicidio colposo, padre indagato. E secondo i periti, un intervento più rapido non avrebbe cambiato l’esito

Neonata morta ad Acerra, l’autopsia cambia tutto: esclusa la frattura del collo. Fatale la "stretta" del pitbull

Neonata morta ad Acerra, l’autopsia cambia tutto: esclusa la frattura del collo. Fatale la "stretta" del pitbull

Una cameretta silenziosa, un lettone sfatto, una copertina rosa ripiegata in fretta. In quella casa di Acerra, la cronaca si è scritta più nei vuoti che nei dettagli: macchie sparite, un pigiamino finito nei rifiuti, parole scomposte da chi giura di non aver sentito nulla. Dopo mesi di domande e ricostruzioni, l’autopsia ha consegnato una verità che pesa come un macigno: la bambina di nove mesi non aveva la “noce del collo” fratturata. È morta per una stretta, una “presa” con i denti del pitbull di famiglia, un trauma acuto e incompatibile con la vita. Un esito che smonta la formula brutale dei primi giorni — “collo spezzato” — e rimette i fatti nella loro dimensione fredda, spietata.

Secondo la relazione depositata in Procura, i consulenti medico-legali incaricati dalla Procura di Nola hanno escluso qualsiasi frattura e individuato nella compressione esercitata dal cane — una presa con i denti priva dello schema tipico dell’“azzannamento” — la causa immediata del decesso. Una forza “abbastanza forte” da lacerare il collo nel punto decisivo e provocare una morte praticamente istantanea. È la formula che chiude il campo delle ipotesi e sostituisce alle prime voci la ricostruzione scientifica dell’evento.

La relazione confuta infatti le indiscrezioni di febbraio, quando diverse testate parlarono di una rottura del collo, ipotesi ridimensionata già pochi giorni dopo dall’emergere di elementi più cauti: “solo contusioni”, dicevano fonti investigative. Oggi quella prudenza diventa certezza: non frattura, ma una presa letale. La differenza semantica, in un caso tanto emotivamente lacerante, non è un dettaglio. Una “presa” indica un contatto prolungato, una pressione mirata, l’assenza di quelle tracce disseminate che caratterizzano l’attacco predatorio. Racconta un gesto improvviso, non necessariamente orientato a uccidere, ma comunque devastante. È in questo quadro che si inseriscono gli accertamenti sul pitbull Tyson, disposti dall’Asl Napoli 2: il cane, sequestrato nei mesi scorsi, non avrebbe mostrato segni di aggressività nel canile, dettaglio che alimenta la domanda sul comportamento dell’animale in quel momento preciso.

Pitbull

L’inchiesta si è mossa dentro un mosaico di elementi in conflitto: l’assenza di sangue evidente sul muso del cane, le tracce rimosse nella stanza, il pigiamino insanguinato scaricato tra i rifiuti, la versione iniziale — poi ritrattata — di un attacco da parte di un randagio. Tasselli che hanno complicato il contesto ma non la conclusione: la bambina è morta per le lesioni provocate dal cane di casa. Il fascicolo aperto per omicidio colposo indica un indagato, il padre Vincenzo Loffredo, 25 anni all’epoca dei fatti. Un “atto dovuto”, precisano gli inquirenti, ma rilevante per il profilo contestato: una possibile omissione di custodia e vigilanza della neonata e dell’animale. Nel suo quadro personale pesa l’esito positivo ai cannabinoidi nei test tossicologici effettuati la notte della tragedia, elemento che non spiega la dinamica ma che aiuta a definire la soglia di vigilanza in quelle ore. L’uomo disse di essersi addormentato con la bambina e di aver scoperto il dramma intorno alla mezzanotte, quando corse verso la clinica Villa dei Fiori, dove la piccola arrivò già senza vita.

Il nodo più delicato resta la domanda che attraversa ogni tragedia domestica: se qualcuno fosse intervenuto pochi minuti prima, la bambina sarebbe viva? La risposta della medicina legale è definitiva: l’evento è stato immediato, la lesione incompatibile con la vita, la morte istantanea. Anche le parole del primo medico, il dottor Emanuele Leo della clinica acerrana — “era in arresto da 20-30 minuti” — trovano nella perizia un nuovo perimetro: quei minuti non avrebbero cambiato l’esito, perché la lesione non lasciava margini.

Nei sopralluoghi, gli investigatori hanno rilevato possibili pulizie nella stanza, elemento che complica ma non inficia la ricostruzione successiva. Il pigiamino insanguinato recuperato nei rifiuti mostra che la piccola è stata cambiata prima del trasporto in clinica, gesto che la difesa potrà spiegare come istintivo, ma che per gli inquirenti rimane parte di una sequenza ancora opaca. I due cani — Tyson e la cagnetta Laika — sono sotto sequestro: nei mesi sono state disposte analisi sulle feci per rilevare eventuali tracce organiche riconducibili alla vittima e valutazioni comportamentali, con risultati iniziali che parlano di assenza di aggressività in condizioni controllate.

Nelle prime 24 ore, però, a emergere fu un’altra storia: quella del “collo spezzato”. È il riflesso tipico di un ciclo informativo che corre più veloce degli atti, spinto dalla violenza delle immagini e dalla pressione del racconto. Ma è proprio in casi così che la cronaca deve restare aggrappata alla medicina legale. Una settimana dopo la tragedia, la frase cambiò in “solo contusioni”. Oggi, con la perizia integrale, il quadro è completo: nessuna frattura, ma una stretta fatale. La morte è avvenuta in casa e deriva dalle lesioni provocate dal cane di famiglia. Tutto il resto — il perché, il comportamento dell’animale, il grado di vigilanza — tocca agli specialisti e a un processo che dovrà misurare responsabilità e omissioni.

Sul fronte giudiziario, il reato ipotizzato resta omicidio colposo. La contestazione riguarda la gestione di un rischio domestico evidente: un cane di grossa taglia e una neonata nello stesso letto. Gli atti documentano l’assenza di microchip sul pitbull, circostanza sanzionabile e significativa in termini di responsabilità nella gestione dell’animale. Gli esami proseguono: la mancanza di sangue sul muso del cane ha spinto a disporre analisi più sofisticate e il parere di un comportamentalista. La relazione autoptica chiarisce la causa della morte, ma non chiude il dossier sulla dinamica istantanea della presa.

Sul margine della scena restano le voci del quartiere: vicine che, davanti alle telecamere, hanno parlato di segnalazioni ignorate e richieste d’intervento rimaste senza esito. Racconti che entrano nel fascicolo solo se documentati: non spostano la prova sulla condotta della notte, ma aiutano a disegnare il contesto. L’autopsia non certifica l’inevitabilità dell’evento in senso giuridico; certifica che, una volta iniziato, non c’erano margini per salvarla. È una distinzione che peserà in aula.

Resta ciò che oggi è certo: una bambina è morta nella sua casa di Acerra, nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 2025, per una lesione acuta da compressione del collo provocata dal cane di famiglia. L’autopsia esclude la frattura della “noce del collo” e parla di una “presa” con i denti, non di un attacco predatorio. Il fascicolo è aperto per omicidio colposo, il padre è indagato, gli atti riportano l’esito tossicologico positivo e l’assenza di microchip sul pitbull. E non ci sono elementi medico-legali che suggeriscano che un intervento più rapido avrebbe potuto invertire l’esito: la lesione, dicono i consulenti, è stata immediatamente fatale.

Cronaca nera significa spesso muoversi tra versioni che si sovrappongono, dichiarazioni che cambiano, rumori che precedono i fatti. Questa volta è la medicina legale a raddrizzare la traiettoria: nessuna “noce del collo spezzata”, ma una presa che non lasciava scampo. Ora tocca alla Procura di Nola misurare responsabilità e omissioni. La bambina, intanto, esce dall’ingorgo delle parole sbagliate: i fatti — nudi, irrefutabili — dicono che è morta in un istante che nessuno, ormai, poteva invertire. Resta da capire se quell’istante poteva non accadere.

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