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Macron spinge per il divieto degli smartphone nelle scuole superiori già dal nuovo anno

In Francia il Presidente rilancia la stretta: dopo i collegi, anche i licei dovranno dire addio ai cellulari. Ma tra legge del 2018, “pausa digitale”, resistenze delle scuole e salute mentale degli adolescenti, il percorso non sarà né breve né semplice

Macron spinge per il divieto degli smartphone nelle scuole superiori già da gennaio

Macron spinge per il divieto degli smartphone nelle scuole superiori già da gennaio

Una mano che fruga nello zaino prima della campanella resta l’immagine più banale e più rivelatrice del nostro tempo: lo smartphone recuperato in fretta, lo sguardo alle notifiche, l’ultima immersione nello scorrimento infinito. Venerdì 28 novembre 2025, davanti a una sala gremita a Mirecourt nei Vosgi, Emmanuel Macron ha provato a incrinare questa routine quotidiana annunciando l’intenzione di estendere ai licei il divieto dei telefoni “dalla rentrée prossima”. Un messaggio secco, costruito attorno a una parola che ritorna nel discorso pubblico francese come un allarme di sistema: attenzione. L’annuncio arriva al termine di un anno in cui il governo ha tentato di generalizzare nei collégi la “pausa digitale” (Portable en pause) con risultati ancora molto irregolari.

Nel suo intervento, il Presidente ha spiegato che l’Esecutivo sta preparando un divieto d’uso degli smartphone nei lycées a partire dalla rentrée successiva, cioè settembre 2026, secondo la maggior parte delle testate che hanno ricostruito la tempistica. L’obiettivo dichiarato è completare il percorso iniziato con l’introduzione del Portable en pause nella rentrée 2025. Nel racconto dell’Eliseo la misura si inserisce in una più ampia strategia di tutela della salute mentale degli adolescenti e risposta alla cosiddetta “crisi di attenzione”, fra tempo di schermo crescente, social network pervasivi, calo della concentrazione in classe, episodi di cyberbullismo e un clima scolastico più teso. Da mesi Macron insiste anche su un’altra frontiera: vietare l’accesso ai social ai minori di 15 anni attraverso sistemi di verifica dell’età o, se necessario, un’azione nazionale in assenza di una cornice europea adeguata.

Per capire cosa cambia occorre distinguere tra la legge del 2018, che vieta l’uso dei telefoni dalla materna al collège, e i nuovi dispositivi. La legge del 2018 proibisce l’uso, non il possesso, e la sua applicazione varia molto tra gli istituti. Il Portable en pause, invece, introduce una separazione fisica: all’arrivo a scuola l’alunno deposita il telefono in un cassetto, in una pochette sigillata o in un sistema centralizzato. È questa la formula che l’Eliseo vuole portare anche nei licei. Ma i numeri del debutto non sono incoraggianti: nella rentrée 2025 solo il 9% dei collegi ha adottato il sistema, mentre secondo il sindacato dei dirigenti SNPDEN-UNSA il 67% non intende applicarlo e il 25% aspetta risorse e indicazioni. I motivi sono noti: carenza di fondi e personale, ambiguità del discorso pubblico sul digitale scolastico, e un paradosso organizzativo alimentato da app e ENT – gli spazi digitali di lavoro – che veicolano una parte sostanziale delle comunicazioni scuola-famiglia.

Nel giustificare l’accelerazione, il Presidente ha richiamato una soglia simbolica: “quattro ore e venti”. È la durata che diversi sondaggi attribuiscono al tempo quotidiano che gli adolescenti passano davanti agli schermi, tempo salito a oltre cinque ore in pochi anni, con una quota dominante assorbita da social e video online. Secondo Médiamétrie e Arcom, i 15-24enni guardano più di cinque ore di video al giorno, quasi sempre dal telefono. Per Macron non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di ridurre l’iperstimolazione durante l’orario scolastico e ripristinare routine di attenzione. In parallelo il governo lancerà una campagna nazionale rivolta ai genitori per stabilire regole su orari, dispositivi in camera, sonno e gestione dell’ansia legata all’iperconnessione.

Il passaggio dal collège al lycée non è neutro. I liceali sono più autonomi, spesso maggiorenni, e utilizzano lo smartphone per spostamenti, lavori di gruppo, stage e orientamento. La misura in discussione non vieterebbe il possesso, ma l’uso: i dispositivi verrebbero depositati all’ingresso in cassetti o pochette sigillate, con eccezioni per studenti con disabilità o bisogni specifici già previste dalla legge del 2018. Sul piano normativo è probabile una circolare ministeriale immediata, un adeguamento dei regolamenti interni e, se necessario, un passaggio parlamentare. Nei giorni dell’annuncio una deputata della maggioranza ha già depositato una proposta di legge per estendere ai licei la disciplina vigente nei gradi inferiori. Restano da chiarire sanzioni e modalità di confisca, punti deboli già emersi sette anni fa.

I dirigenti scolastici sollevano problemi concreti: la logistica del deposito di migliaia di telefoni, la gestione degli ingressi, i costi di armadietti, buste sigillate, personale dedicato. E poi c’è la questione dei dispositivi ibridi: gli smartphone usati come calcolatrici, dizionari, strumenti per laboratori STEM o compiti in classi BYOD. Senza un finanziamento nazionale si rischia di creare una geografia irregolare, con licei attrezzati e licei lasciati soli. L’esperienza del 2025 nei collegi, con un’adesione minima, è un segnale che il governo non può ignorare. La contraddizione più evidente resta quella fra promozione della competenza digitale e richiesta di astinenza totale durante l’orario scolastico; per attenuarla il ministero ha disattivato di default le notifiche delle app scolastiche la sera e nel weekend, misura accolta positivamente ma ritenuta solo un primo passo.

La Francia si muove in un contesto europeo che sta convergendo verso norme più dure: la Federazione Wallonia-Bruxelles in Belgio ha già introdotto un divieto totale nei licei, mentre nel Regno Unito la maggior parte delle scuole applica politiche restrittive. L’Unione Europea spinge affinché si sviluppino sistemi di verifica dell’età e standard comuni per la protezione dei minori. Sul fronte dei social, l’Eliseo punta a un divieto sotto i 15 anni, condividendo le preoccupazioni di un’opinione pubblica che, secondo Ipsos, nel 75% dei casi vuole gli smartphone fuori dalle scuole e nell’80% sostiene la soglia dei 14 anni per l’accesso alle piattaforme.

Gli esperti concordano sul legame fra iperconnessione e disturbi legati al sonno, alla memoria e alla regolazione emotiva. La relazione non è lineare, ma le correlazioni tra uso intensivo dei social e ansia o umore depresso sono solide. Completano il quadro il cyberbullismo, l’accesso precoce alla pornografia e la disinformazione. Nel 2024 la commissione di esperti nominata dal Presidente ha raccomandato una esposizione graduale: niente schermi sotto i tre anni, accesso limitato tra gli 11 e i 15, e una pausa digitale a scuola come strumento preventivo. I dati indicano che tra i 13-19enni il tempo di schermo è passato in pochi anni da 4h20 a 5h10, mentre nei 15-24enni domina la fruizione video su smartphone.

Resta da capire la forma finale del divieto nei licei: se sarà totale, con separazione fisica durante tutta la giornata, o se resterà uno spazio per deroghe didattiche controllate tramite device scolastici; chi sosterrà i costi e quali indicatori misureranno l’efficacia della misura, dalla riduzione degli incidenti disciplinari ai casi di cyberbullismo fino all’impatto sui risultati scolastici. Senza risorse dedicate, la misura rischia di rimanere una dichiarazione d’intenti.

Il divieto, comunque lo si configuri, non potrà essere autosufficiente. Le scuole dovranno affiancare alle regole una pedagogia digitale coerente; le famiglie saranno chiamate a definire abitudini e limiti credibili; le piattaforme dovranno implementare verifiche dell’età, impostazioni più sicure e algoritmi meno invasivi durante l’orario scolastico. Nel frattempo, la sfida reale resta quella di ricostruire l’attenzione dentro l’aula: tempi scanditi da pause brevi, letture profonde, scrittura manuale, attività cooperative e moduli digitali mirati su device dedicati, insieme a un’educazione ai media che insegni algoritmi, privacy e riconoscimento dei bias.

L’annuncio di Macron è anche un segnale politico: in una Francia che discute di violenza giovanile, solitudine e declino della lettura, la scuola viene indicata come primo baluardo contro l’economia dell’attenzione. Ma la lezione del 2018 e quella della pausa digitale del 2025 insegnano che senza mezzi, monitoraggi indipendenti e una strategia condivisa con territori e famiglie, il divieto nei licei rischia di trasformarsi in uno slogan più che in un cambiamento reale. La prova decisiva si consumerà nei prossimi nove mesi, quando si capirà se la frase “il liceo non è uno schermo” potrà diventare una pratica quotidiana e non restare soltanto un titolo.

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