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20 Ottobre 2025 - 23:24
Bolivia cambia rotta: Rodrigo Paz alla guida di un Paese in ginocchio dopo vent’anni di socialismo
La Bolivia volta pagina. Un Paese abituato per quasi vent’anni alla retorica socialista e all’ombra lunga di Evo Morales, ha scelto un nuovo cammino. Con un risultato netto — 54,6% dei voti contro il 45,4% dell’ex presidente Jorge Quiroga — Rodrigo Paz è diventato il nuovo capo dello Stato, incarnando la speranza di un cambiamento epocale in una nazione stremata da inflazione, disoccupazione e sfiducia. Non si tratta soltanto di un cambio di nome o di bandiera politica: è un vero spartiacque storico, il primo passo di una transizione incerta, ma inevitabile.
Per due decenni il Movimiento al Socialismo (MAS) ha dominato la scena politica, costruendo un modello di sviluppo fondato sull’estrazione e la redistribuzione delle risorse naturali — in particolare gas e litio — che ha garantito per anni crescita e consenso. Ma quella stagione si è logorata sotto il peso delle proprie contraddizioni: corruzione, sprechi e un’economia troppo dipendente da un’unica fonte di ricchezza. L’epoca di Evo Morales, salutata inizialmente come la riscossa del popolo indigeno e delle classi dimenticate, si è chiusa in un crepuscolo di divisioni e stagnazione.
Oggi, Rodrigo Paz eredita un Paese sull’orlo del collasso. La crisi economica è la più grave dagli anni Ottanta: secondo le stime della Banca Mondiale, il PIL del 2025 registrerà un calo dello 0,5%, con ulteriori contrazioni previste fino al -1,5% nel 2027. L’inflazione, che ha ormai superato il 23%, erode i risparmi e moltiplica la rabbia sociale: i prezzi dei beni di prima necessità salgono di settimana in settimana, e il potere d’acquisto della popolazione si dissolve come neve andina al sole.
La crisi del gas, colonna portante dell’economia boliviana, ha fatto il resto. Le esportazioni crollano, le riserve in dollari si prosciugano, e nelle città si vedono file interminabili ai distributori di benzina. La scarsità di carburante paralizza i trasporti, rallenta la produzione e getta un’ombra sulla già fragile stabilità sociale. La Bolivia, un tempo orgogliosa esportatrice di energia, oggi fatica a illuminare le proprie case.
A peggiorare il quadro contribuisce il caos politico. Il MAS, ormai spaccato in due fazioni — una fedele a Morales, l’altra al presidente uscente Luis Arce — continua a intossicare la vita pubblica con lotte intestine, accuse reciproche e blocchi parlamentari. Il risultato è un Parlamento paralizzato, incapace di approvare crediti esterni e piani di emergenza economica. Nel frattempo, nelle strade, i sostenitori di Morales organizzano blocchi e proteste, aggravando la penuria di beni e aumentando la pressione sui prezzi.
Il nuovo presidente dovrà affrontare, fin dai primi giorni di governo, una triplice emergenza: economica, sociale e istituzionale. Ripristinare le riserve valutarie, stabilizzare il mercato dei carburanti, contenere l’inflazione e riaprire un dialogo nazionale con tutte le forze politiche saranno le sfide immediate. Ma Paz sa di camminare su un terreno minato: ogni riforma economica rischia di alienargli una parte del popolo, ancora legato alle politiche sociali dei governi passati.
Il cambio di paradigma — da un modello statalista a uno più liberale e orientato al mercato — apre interrogativi inquieti. Che ne sarà dei programmi di sussidi, delle politiche indigene, delle riforme sociali che hanno ridotto la povertà? Paz promette di non toccare “le conquiste del popolo”, ma la realtà dei numeri sembra imporre scelte drastiche. E la pazienza dei boliviani, già messa a dura prova da anni di promesse disattese, potrebbe esaurirsi in fretta.
Nel frattempo, la comunità internazionale osserva con attenzione. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Interamericana di Sviluppo e le principali agenzie di rating guardano a La Paz come a un laboratorio politico: la capacità di Rodrigo Paz di conciliare riforme economiche e stabilità sociale sarà un test per tutta l’America Latina. La Bolivia, infatti, è oggi lo specchio di una crisi più ampia che attraversa il continente: l’esaurimento del ciclo delle materie prime, la fragilità istituzionale, la tensione permanente tra ideali e necessità.
Eppure, nonostante il buio economico e la sfiducia diffusa, qualcosa si muove. Il voto che ha portato Paz al potere è anche il segnale di una società che vuole riprendersi il diritto di sperare, di scegliere un futuro diverso dopo anni di immobilismo. Forse è presto per parlare di rinascita, ma è chiaro che il Paese ha deciso di cambiare strada. Resta da capire se il nuovo presidente sarà capace di guidarlo senza perdere l’anima di un popolo che, pur tra mille contraddizioni, non ha mai smesso di credere nella propria dignità
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