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20 Ottobre 2025 - 00:28
Vuoi fare politica col Pd? Prima passa alla cassa
Vuoi candidarti alle Regionali in Puglia? Bene, preparati a tirare fuori il portafoglio. Nel Partito Democratico, per entrare in lista non basta la passione civile o la voglia di cambiare le cose: servono 2.500 euro tondi tondi. E se hai qualche arretrato con il partito, niente paura: puoi saldare subito, “in un’unica comoda rata”. Una norma che — dicono — serve a responsabilizzare i candidati. Ma più d’uno si chiede se non serva, piuttosto, a selezionare chi può permettersi di fare politica e chi no.
Elly Schlein, segretaria nazionale del Pd
Il Pd pugliese, insomma, ha inventato la candidatura a pagamento, versione 2.0. Per un posto nella lista serve il bonifico, la ricevuta e magari anche il pin. “Contributo per le attività politiche e amministrative”, lo chiamano. E in effetti è tutto molto amministrativo: si paga, si timbra, si entra. Chi invece non ha saldato le quote pregresse resta fuori. La democrazia interna, evidentemente, passa dallo sportello bancario.
Il partito difende la scelta con la solita formula: trasparenza e senso di responsabilità. Certo, peccato che quella trasparenza rischi di trasformarsi in un paywall della politica: se non paghi, non leggi. E non partecipi. Perché, come spiegano alcuni militanti, 2.500 euro non sono pochi per chi lavora, per chi è precario, per chi vorrebbe rappresentare la società reale e non quella dei conti in ordine e delle tessere platinum.
I dirigenti ribattono che si tratta solo di una “piccola” forma di autofinanziamento. Ma il dubbio resta: questa “piccola” somma non rischia di far diventare la politica un circolo esclusivo? Non tutti, d’altronde, hanno un reddito da assessore o un incarico di partito da stipendiato. Ci sono anche quelli che fanno militanza vera, porta a porta, e che magari non hanno 2.500 euro da destinare alla “causa”.
Certo, non è una novità assoluta. Anche altri partiti chiedono contributi ai candidati, ma spesso le cifre sono più basse e le regole meno rigide. Qui invece si va giù dritti, con la precisione di un’agenzia delle entrate: stessa cifra per tutti, nessuna esenzione, nessuna dilazione. Una norma che, nel linguaggio aziendale del partito, serve a “sostenere le spese organizzative e le attività territoriali”. Traduzione: coprire i costi di una macchina che, da sola, non si regge più.
Ma c’è chi, tra gli iscritti, la vede diversamente: “Con questa logica tra un po’ ci chiederanno l’anticipo per la tessera e il contributo per il diritto di parola”. E in effetti la sensazione è quella. In un momento in cui la fiducia nella politica è ai minimi storici, il messaggio che passa è chiaro: vuoi partecipare? Paga.
Si chiama democrazia interna, ma sembra più una democrazia a tariffa. E la cosa ironica è che, mentre il Pd pugliese chiede soldi per garantire “rinnovamento e trasparenza”, il rischio è che a rinnovarsi siano solo i conti correnti, non la politica.
Alla fine, la discussione resta aperta: tra chi difende la norma in nome della sostenibilità e chi la considera una misura classista. L’equilibrio, dicono, sarà difficile da trovare. Anche perché, con 2.500 euro di contributo, molti giovani o militanti storici saranno costretti a restare semplici spettatori.
E così, nella regione dove il mare è blu, l’olio è d’oro e la politica è diventata un affare da “paganti”, la domanda resta una sola: quanto costa, oggi, la democrazia?
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