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Vuoi fare politica col Pd? Prima passa alla cassa

In Puglia la candidatura alle Regionali costa 2.500 euro più il saldo dei debiti arretrati col partito. Il Pd parla di “responsabilità”, ma molti vedono una tassa d’ingresso nella democrazia

Vuoi fare politica col Pd? Prima passa alla cassa

Vuoi fare politica col Pd? Prima passa alla cassa

Vuoi candidarti alle Regionali in Puglia? Bene, preparati a tirare fuori il portafoglio. Nel Partito Democratico, per entrare in lista non basta la passione civile o la voglia di cambiare le cose: servono 2.500 euro tondi tondi. E se hai qualche arretrato con il partito, niente paura: puoi saldare subito, “in un’unica comoda rata”. Una norma che — dicono — serve a responsabilizzare i candidati. Ma più d’uno si chiede se non serva, piuttosto, a selezionare chi può permettersi di fare politica e chi no.

Elly Schlein

Elly Schlein, segretaria nazionale del Pd

Il Pd pugliese, insomma, ha inventato la candidatura a pagamento, versione 2.0. Per un posto nella lista serve il bonifico, la ricevuta e magari anche il pin. “Contributo per le attività politiche e amministrative”, lo chiamano. E in effetti è tutto molto amministrativo: si paga, si timbra, si entra. Chi invece non ha saldato le quote pregresse resta fuori. La democrazia interna, evidentemente, passa dallo sportello bancario.

Il partito difende la scelta con la solita formula: trasparenza e senso di responsabilità. Certo, peccato che quella trasparenza rischi di trasformarsi in un paywall della politica: se non paghi, non leggi. E non partecipi. Perché, come spiegano alcuni militanti, 2.500 euro non sono pochi per chi lavora, per chi è precario, per chi vorrebbe rappresentare la società reale e non quella dei conti in ordine e delle tessere platinum.

I dirigenti ribattono che si tratta solo di una “piccola” forma di autofinanziamento. Ma il dubbio resta: questa “piccola” somma non rischia di far diventare la politica un circolo esclusivo? Non tutti, d’altronde, hanno un reddito da assessore o un incarico di partito da stipendiato. Ci sono anche quelli che fanno militanza vera, porta a porta, e che magari non hanno 2.500 euro da destinare alla “causa”.

Certo, non è una novità assoluta. Anche altri partiti chiedono contributi ai candidati, ma spesso le cifre sono più basse e le regole meno rigide. Qui invece si va giù dritti, con la precisione di un’agenzia delle entrate: stessa cifra per tutti, nessuna esenzione, nessuna dilazione. Una norma che, nel linguaggio aziendale del partito, serve a “sostenere le spese organizzative e le attività territoriali”. Traduzione: coprire i costi di una macchina che, da sola, non si regge più.

Ma c’è chi, tra gli iscritti, la vede diversamente: “Con questa logica tra un po’ ci chiederanno l’anticipo per la tessera e il contributo per il diritto di parola”. E in effetti la sensazione è quella. In un momento in cui la fiducia nella politica è ai minimi storici, il messaggio che passa è chiaro: vuoi partecipare? Paga.

Si chiama democrazia interna, ma sembra più una democrazia a tariffa. E la cosa ironica è che, mentre il Pd pugliese chiede soldi per garantire “rinnovamento e trasparenza”, il rischio è che a rinnovarsi siano solo i conti correnti, non la politica.

Alla fine, la discussione resta aperta: tra chi difende la norma in nome della sostenibilità e chi la considera una misura classista. L’equilibrio, dicono, sarà difficile da trovare. Anche perché, con 2.500 euro di contributo, molti giovani o militanti storici saranno costretti a restare semplici spettatori.

E così, nella regione dove il mare è blu, l’olio è d’oro e la politica è diventata un affare da “paganti”, la domanda resta una sola: quanto costa, oggi, la democrazia?

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