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25 Agosto 2025 - 18:30
Foto Facebook (Nicolas Gallicchio/ Sei di Ivrea se)
Al mercato di Ivrea, tra bancarelle di frutta e di abbigliamento, c’è un piccolo tavolino azzurro che da tre venerdì ruba la scena a tutti. Sopra non ci sono arance, scarpe o borse taroccate. Ci sono disegni colorati a mano, con angurie sorridenti e arcobaleni pieni di speranza. E ci sono giocattoli usati, minuscoli, consumati dal tempo e dalle mani di un bambino che ha deciso di lasciarli andare.
Non chiede la carità, non tende la mano. Si mette lì, con la serietà che solo i bambini sanno avere quando fanno sul serio, e offre al mondo ciò che ha creato. Un disegno per 2 euro, una figurina dimenticata, un pupazzetto di plastica rosa che una signora quasi novantenne ha comprato e dichiarato essere il suo nuovo portafortuna. “Molto professionale, senza smancerie. L’ho trattato come un commerciante vero e ho pagato il doppio, perché se lo meritava”, ha raccontato.
Intorno a quel tavolino, la gente non ha visto solo disegni. Ha visto ricordi che tornavano a galla. Una madre ha raccontato, ridendo, di quando i suoi figli fecero la stessa cosa: “Mi vergognai tantissimo, ma loro erano felici e li lasciai fare. Disegnarono tutta un’estate”. Qualcun altro ha ricordato le bancarelle improvvisate davanti ai portoni, i pomeriggi passati a scambiarsi fumetti e pupazzi. “Ci compravano qualcosa non perché servisse, ma per premiare la nostra iniziativa”, ha scritto una donna, con un filo di nostalgia.
Altri hanno commentato con entusiasmo: “Che bello, l’ho visto anch’io stamattina! Tenerissimo”, “Meraviglioso, prima se ne vedevano tanti di bambini così”, “Che tenero, guidato da super genitori”. Una proposta ha colpito tutti: “Il Comune dovrebbe dedicare uno spazio, sorvegliato, ai bambini al mercato”.
Eppure, tra i tanti applausi, una voce ha rotto l’incanto. Una voce severa, che ha parlato di sfruttamento, di accattonaggio, di mancanza di regole. Ha ricordato che per vendere in un mercato serve una licenza, che i commercianti pagano tasse e concessioni, che non si può trasformare la piazza in un suk improvvisato. “I genitori sono passibili di denuncia penale. Un bambino deve studiare, giocare, non imparare la logica fredda del denaro”, ha scritto. Parole dure, che hanno gelato l’entusiasmo di molti, e che hanno diviso i commenti: c’era chi annuiva, riconoscendo che in fondo la legge è legge, e chi invece si indignava, rifiutando di credere che dietro a quel sorriso ci fosse un problema di ordine pubblico.
La discussione è diventata specchio di qualcosa di più grande: da un lato la spontaneità dell’infanzia, dall’altro la rigidità delle regole. Da una parte la voglia di premiare un bambino che prova a crescere, dall’altra il timore che il mercato diventi "altro". Una signora ha cercato di mediare: “Forse sarebbe giusto che pagasse una piccola cifra simbolica per il banchetto, così imparerebbe anche le regole. Ma non vedo dove stia il problema educativo”.
Intanto, venerdì dopo venerdì, quel tavolino azzurro resta lì. C’è chi passa apposta per comprare un disegno, chi porta via un piccolo giocattolo, chi semplicemente si ferma a guardare. E in quell’angolo del mercato, i muri sporchi di graffiti sembrano meno tristi, i rumori meno freddi. Perché a illuminarli non sono le lampadine delle bancarelle, ma i colori di un bambino che non ha paura di mettersi in gioco.
La verità è che quel tavolino ha fatto molto più di un mercato. Ha messo in discussione il nostro modo di guardare l’infanzia e se vogliamo anche di "vivere". Ha ricordato a tutti che un bambino può insegnarci più di mille prediche: che i sogni possono essere messi sul tavolo e che vale la pena pagarli, non perché ci servono, ma perché ci fanno bene al cuore.
Ivrea, per un istante, si è guardata allo specchio. E ha visto che, sotto la patina grigia delle polemiche e delle regole, c’è ancora spazio per la meraviglia. Per un bambino che colora un’anguria sorridente e la vende a 2 euro. Perché, a volte, la fantasia vale più di qualsiasi licenza.
C’è un bambino, al mercato di Ivrea, che da tre venerdì porta con sé un tavolino azzurro. Sopra appoggia qualche disegno, fatto con la spontaneità e la fantasia tipiche dell’età, e alcuni giocattoli che non usa più. Non chiede nulla, non pretende nulla: semplicemente, con una naturalezza che spiazza gli adulti, si mette lì e propone un piccolo scambio. La sua creatività, il suo mondo, in cambio di un gesto di attenzione.
Quell’immagine, diventata virale sui social, ha toccato corde profonde. Non tanto per il gesto in sé, quanto per ciò che evoca. Perché, a guardarlo bene, quel tavolino non è solo un tavolino: è un simbolo. È la fotografia di un’infanzia che non c’è quasi più, fatta di invenzioni improvvisate, di giochi condivisi, di strade che diventavano campi da calcio e cortili trasformati in botteghe immaginarie.
Un tempo era normale. Ci si trovava sotto casa, si costruivano bancarelle con gli oggetti più disparati, ci si inventava venditori e clienti. Non servivano soldi veri: bastava un fumetto scambiato, una biglia, un pacchetto di figurine. L’importante era giocare insieme, sperimentare, imparare a trattare, a dare e a ricevere. Oggi, invece, i bambini vivono in spazi sempre più limitati. Le strade non sono più luoghi di gioco ma di traffico, i cortili si sono svuotati, e il tempo libero si consuma spesso davanti a uno schermo, tra videogiochi e piattaforme digitali.
Quel bambino di Ivrea, senza saperlo, ci ha ricordato qualcosa che credevamo dimenticato: la libertà di esprimersi. Non solo con un disegno colorato, ma anche con il coraggio di offrirlo agli altri, di mostrarlo al mondo. In un’epoca in cui l’infanzia è protetta, incanalata, sorvegliata, quel piccolo gesto appare rivoluzionario nella sua semplicità.
Molti, vedendolo, hanno sorriso. Altri hanno ricordato le estati passate a disegnare, le bancarelle improvvisate, le partite infinite nei campetti polverosi. Una memoria condivisa che sa di nostalgia, ma anche di speranza. Perché vuol dire che, sotto la coltre di tecnologie e regole, c’è ancora spazio per l’immaginazione.
E qui non possiamo non pensare a Giovanni Pascoli e al suo celebre fanciullino. Quel bambino interiore che non muore mai del tutto, che resta dentro ciascuno di noi anche da adulti, capace di stupirsi davanti a un fiore, a una stella, a un piccolo gesto. Il fanciullino pascoliano è quella voce che ci ricorda che la vita non è solo doveri, norme e produttività, ma anche meraviglia, fantasia, poesia quotidiana. Forse il successo di questo bambino di Ivrea nasce proprio da lì: ha risvegliato il fanciullino che dormiva in noi, ci ha fatto tornare, anche solo per un attimo, a quella stagione della vita in cui bastava un foglio e dei colori per sentirsi felici.
Forse è questo che ci emoziona tanto. Non il fatto che un bambino venda i suoi disegni, ma che abbia trovato il coraggio di trasformare la fantasia in un atto pubblico, semplice e genuino. Ci ricorda che l’infanzia non dovrebbe mai essere solo consumo passivo, ma anche invenzione, gioco, creatività.
E allora quel tavolino azzurro diventa un invito. A restituire ai bambini il diritto di vivere all’aperto, di rischiare un po’, di confrontarsi con gli altri senza mediazioni tecnologiche. A ricordare che crescere non significa soltanto imparare nozioni, ma anche sperimentare, provare, creare. E per noi adulti, diventa un promemoria: non dimenticare quel fanciullino che abita in ciascuno di noi e che, se ascoltato, può renderci più umani.
Forse quel bambino di Ivrea non sa di aver fatto tutto questo. Forse per lui è stato solo un gioco. Ma per noi adulti il suo gesto è un richiamo potente: l’infanzia non è mai davvero finita, se abbiamo il coraggio di custodirne lo spirito.
Commenti all'articolo
Tizzy
26 Agosto 2025 - 08:45
E per concludere. Difronte ai commenti negativi io mi vergogno e dovrebbero farlo anche loro. Tutto come sempre gira intorno ai soldi alle regole. Quelle imposte dagli speculatori che pensano solo a riempirsi le tasche e non vedono oltre il loro naso la semplicità di un gesto di un bambino. Imparate da tutto questo e vergognatevi.
Tizzy
26 Agosto 2025 - 08:39
Mi fa' vergogna sentire commenti negativi sul fatto di un bambino che vende per pochi soldi le sue creazioni con uno spirito giusto...... l'innocenza di un gesto. Quello che ormai hai giorni nostri non esiste più. Non ci sono pregiudizi e tutto genuino. Dobbiamo solo imparare da questo come dobbiamo solo imparare dagli animali. Chi fa' commenti negativi dovrebbe solo vergognarsi e darsi fuoco.
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