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Lo Stiletto di Clio
11 Luglio 2025 - 10:05
Un ombrellaio al lavoro
Mestieri di strada si definiscono, al giorno d’oggi, le attività «irregolari» di lavavetri, parcheggiatori abusivi, venditori di fiori nelle pizzerie, «vucumpra» africani, musicisti girovaghi, chiromanti e così via. Sino a epoche tutt’altro che remote, invece, l’espressione individuava i lavori di vario interesse sociale svolti da amplissime categorie d’itineranti: dal calderaio allo spazzacamino, dall’ombrellaio al cantastorie, dall’arrotacoltelli al venditore d’acciughe in salamoia. Tutte figure ormai relegate fra le pieghe delle memorie individuali e collettive.
Per lo più provenienti dal Cuneese, specie dalla zona di Dronero, dalla valle Maira (Celle di Macra) e dalla valle Grana, gli acciugai acquistavano direttamente il pesce nel Savonese. Ogni anno, a partire dal tardo autunno, percorrevano le strade del Piemonte e della Lombardia, spingendo leggeri carrettini su cui trasportavano i barili con le acciughe sotto sale. Popolarissimi erano i suonatori ambulanti che si esibivano con la fisarmonica o la pianola. Molti si facevano accompagnare dalla moglie oppure da un figlioletto, a cui toccava il compito di raccogliere le elemosine col piattino e smerciare i cosiddetti pianeti della sorte (fogli illustrati che contenevano oroscopi e una terna o una quaterna di numeri da giocare al lotto).
Molti orsanti provenivano dall'Appennino parmense
Un acciugaio ambulante
Figure altrettanto caratteristiche erano gli zampognari: nel periodo delle feste natalizie giravano di cortile in cortile, seguiti da stuoli di ragazzini vocianti. Non meno popolari sino ai primi decenni del Novecento, soprattutto nel vicino Canavese, erano i suonatori di colascione, un rudimentale strumento ricavato da una mezza zucca da vino. Bassa e ronzante, la melodia veniva prodotta con una sorta di archetto che faceva vibrare due corde fissate a un’assicella; la mezza zucca fungeva da cassa armonica.
Saltimbanchi, illusionisti, clown, funamboli, giocolieri e burattinai costituivano una presenza familiare nelle feste di paese. Davanti a spettatori meno smaliziati di quelli odierni, si esibivano in acrobazie, esercizi d’abilità, dialoghi arguti, contorsionismi e giochi di prestigio. Per suscitare la stupita ammirazione del pubblico, alcuni utilizzavano animali ammaestrati (scimmiette, cani, asini, pappagalli, gazze e così via). È il caso di quei girovaghi originari di Belgrado che giunsero con un orso, nel giugno 1908, a Settimo Torinese. In piena notte, però, l’animale ruppe la catena a cui era legato e si diede alla fuga, subito inseguito da quattro carabinieri che lo raggiunsero non lontano dalla cappella di San Rocco e lo abbatterono a fucilate.
Nella vasta categoria dei ciarlatani rientravano gli indovini, le cartomanti e i venditori di curiosità (certi impiastri a cui il popolino attribuiva miracolose virtù terapeutiche, il grasso di marmotta che si credeva efficace contro il mal di reni, gli afrodisiaci, ecc.).
Stando alle fonti documentarie, saltimbanchi, illusionisti e imbonitori erano decisamente malvisti dalle forze dell’ordine che esigevano il puntuale rispetto dei regolamenti di pubblica sicurezza e punivano sia chi importunava la gente sia chi abusava della credulità popolare. Valga per tutte la disavventura in cui incappò il torinese Pietro Fornaso, «illusionista ambulante», che fu multato nel 1913, al termine dei festeggiamenti patronali di Settimo, per «ubriachezza manifesta, molesta e ripugnante», come verbalizzarono le guardie. Il che attesta come certi problemi siano perennemente attuali.
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