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Immondizia e bivacchi tra i giochi dei bambini. Li chiamano "invisibili"

Cartoni, fazzoletti, corpi sdraiati sulle panchine: un post denuncia riapre la ferita mai chiusa del parco simbolo di Ivrea. Mentre il “castello con le torri” resta a guardare, tra i giochi dimenticati e gli invisibili che la notte cercano riparo. E la città? Sta a guardare anche lei.

Immondizia e bivacchi tra i giochi dei bambini

Immondizia e bivacchi tra i giochi dei bambini

“Non sono solita a postare, ma sono davvero schifata da quel che mi circonda”. Inizia così il messaggio di una cittadina, stanca e delusa, accompagnato da immagini che rimbalzano sui social mostrando una situazione a dir poco imbarazzante: cartoni sparsi, fazzoletti sporchi e sei persone sdraiate tra le panchine del parco, con tanto di rifiuti lasciati in bella mostra. Non stiamo parlando di una periferia abbandonata, ma del Parco Dora Baltea di Ivrea, un tempo fiore all’occhiello, oggi al centro di una polemica che riapre ferite mai rimarginate.

“Lavoro con dei bambini e questo bellissimo parco è punto di ritrovo per noi molti nei giorni di gita oltre che di divertimento. Sono settimane purtroppo che lo si trova sporco… Non è una polemica la mia, solo un post per chiedermi davvero dove siamo arrivati e dove i nostri bambini sono purtroppo destinati ad andare…”.

Parole che pesano. E fanno male. Perché solo pochi mesi fa, nel settembre dello scorso anno, si era celebrato con toni trionfali il ritorno del “Castello con le torri”, il mitico gioco in legno degli anni ’90. Lì, dove intere generazioni di eporediesi avevano vissuto pomeriggi fatti di scivolate, rincorse e risate, si era finalmente deciso di intervenire per salvarlo dalla demolizione. Il restauro, partito a luglio dopo settimane di tensioni, era diventato un simbolo: la città che si riappropria della sua infanzia, che investe sul futuro attraverso la memoria.

Ma prima di arrivarci, c’era stata una vera e propria “tragedia greca”. Quando le transenne avevano chiuso il Castello, l’Assessore Massimo Fresc aveva gettato nello sconforto genitori e bambini con una dichiarazione lapidaria: “Non possiamo permetterci l’investimento”. Apriti cielo. Lo stesso Comune che aveva trovato con l’agilità di Speedy Gonzales 50 mila euro per rimettere in piedi l’autovelox distrutto da Fleximan, ora alzava le mani davanti a un gioco per bambini.

Da lì era partita la rivolta. Una petizione su Change.org – “Salviamo il parco Dora Baltea dalla demolizione” – e una valanga di post sui social avevano costretto l’Amministrazione a cambiare rotta. La linea era diventata: meglio restaurare che demolire. Un’affermazione arrivata dopo, quasi a voler giustificare la retromarcia, ma che aveva permesso di salvare un pezzo di storia cittadina.

E a salvare il castello, oltre alla mobilitazione popolare, era stato anche il cuore di un imprenditore: Francesco Mango, titolare con fratello e sorella di un’azienda di Mercenasco specializzata in semilavorati in legno.

“Quando ho visto il gioco transennato, mi sono fatto avanti. Le mie figlie ci hanno giocato. Volevo che un giorno potessero portarci anche i loro figli”, aveva detto con emozione al sindaco Matteo Chiantore. Mango ha fornito gratuitamente tutte le parti in legno necessarie, rigenerando ciò che poteva essere salvato. La riparazione vera e propria è stata affidata all’impresa Garden di Carmagnola, per un totale di 49.100 euro.

Un’operazione in grande stile, che ha incluso la sostituzione delle superfici antitrauma per garantire la sicurezza dei bambini. Tutto pronto, giusto in tempo per i mondiali di canoa. Un tempismo perfetto. Un piccolo miracolo di efficienza.

E oggi? Oggi ci ritroviamo a raccontare tutt’altro. Non più la favola a lieto fine del castello salvato, ma la dura realtà di un parco trascurato.

il parco

Bene chiarire che la cittadina che denuncia non cerca polemica, ma pone una domanda scomoda: “Dove stiamo andando?”

Il rischio è quello di assistere a un déjà vu cinico e stanco, dove l’indignazione dura il tempo di un post e poi tutto ritorna com’era. Le foto fanno il giro del web, ma chi agisce? 

Chi custodisce ciò che è stato faticosamente salvato. Ci sono i bambini che vogliono giocare. Ci sono in genitori che non vogliono vedere giocare i bambini in mezzo al degrado e ci sono presenze silenziose e fragili. Persone che, di notte, cercano un angolo dove fermarsi. A volte per necessità.

La denuncia della cittadina - bene chiarirlo - non è un atto d’accusa.  Vuole solo ricordare che ogni spazio della città merita cura. Che ogni luogo frequentato da bambini dovrebbe essere protetto, mantenuto, vigilato. Non basta restaurare. Bisogna restare. Restare attenti, presenti, vigili.

E allora la richiesta, semplice ma sincera, è rivolta all’Amministrazione comunale: non lasciate soli questi luoghi. Non solo nel giorno dell’inaugurazione, ma ogni giorno. Perché un parco non è solo un insieme di giochi in legno. È uno specchio della città. 

Gli invisibili

C’è chi non li vede. Chi passa accanto e tira dritto. Chi storce il naso. Ma loro ci sono. Ogni notte. Senza chiasso, senza cartelli, senza lamenti. Si sistemano in un angolo del parco, sotto una tettoia, su una panchina, tra le foglie secche e i mozziconi gettati. A volte da soli, a volte in due, in tre. Nessuno li conta davvero.

Non hanno un letto. Hanno il cielo. Non hanno coperte. Hanno cartoni. Non hanno finestre da chiudere. Hanno solo silenzi da sopportare.

Li chiamano invisibili, ma invisibili non sono. Sono lì, accanto a noi. Solo che ci siamo abituati a ignorarli. Eppure respirano, sognano, tremano. Portano con sé zaini slabbrati, sacchi, bottiglie d’acqua raccolte chissà dove. E occhi. Occhi che raccontano tutto.

A volte è la vita che ti butta fuori strada. A volte è una scelta. Una fuga dalla normalità che ha fatto troppo male. Un’esistenza che non si regge più sulle regole degli altri. Ma anche quando è una scelta, non c’è mai leggerezza. Solo sopravvivenza.

Così finiscono lì, in quel parco dove durante il giorno corrono i bambini. Dove i genitori si siedono sulle panchine. Di notte è un altro mondo. Un mondo rovesciato. Dove la giostra diventa un tetto. Dove lo scivolo è un muro che ripara dal vento. Dove i giochi, quelli per i piccoli, diventano rifugio per chi non è più piccolo da un pezzo, ma ha smesso di essere grande.

E quando all’alba si raccolgono i resti – bottiglie, avanzi, indumenti stesi come bandiere della resa – qualcuno commenta indignato. “Guardate in che stato è ridotto il parco!” Ma pochi si chiedono perché. Pochissimi si domandano chi.

Non è un'accusa. È una ferita. Una di quelle che non si vede, come loro. Eppure c’è.  

Forse la vera domanda non è dove dormono gli invisibili. Ma dove siamo noi, mentre loro cercano un posto nel mondo.

Serve uno sguardo. Serve chiedersi se, tra quei corpi accasciati sotto il castello, c'è una casa che non c'è, c'è una politica sociale che non ha funzionale, c'è una mano che aspetta di essere stretta.

La verità è che ci si abitua a tutto. Anche al freddo. Anche alla solitudine. Ma non ci si abitua mai davvero al pensiero che ovunque tu ti stenda, sarai solo un problema da spostare.

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