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Università di Torino condannata a rimborsare 39 milioni: ma agli studenti arrivano solo spiccioli

Il Consiglio di Stato sconfessa il TAR: tasse illegittime nel 2018, ma i rimborsi vengono bloccati da cavilli contabili

 Una sentenza che doveva fare giustizia rischia di trasformarsi in un calcolo a perdere.

 Una sentenza che doveva fare giustizia rischia di trasformarsi in un calcolo a perdere.

Nel 2018 l’Università di Torino aveva chiesto agli studenti una somma di tasse universitarie superiore al limite imposto dalla legge, sforando il tetto massimo del 20% rispetto alle entrate da finanziamento pubblico. Lo ha stabilito con chiarezza il Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 3237 del 9 aprile 2024 ha condannato l’ateneo torinese a restituire complessivamente 39 milioni di euro a migliaia di studenti. Una cifra enorme, frutto di un conteggio ritenuto illegittimo, che secondo il massimo organo della giustizia amministrativa ha violato il Decreto Legislativo 232/2016.

La sentenza ha ribaltato integralmente il pronunciamento precedente del TAR del Piemonte, che invece aveva dato ragione all’università, ritenendo corretta la modalità con cui era stata calcolata la contribuzione studentesca. I giudici amministrativi di secondo grado hanno però accolto le tesi sostenute dall’Unione degli Universitari (UDU), che da anni contestava quei criteri, accusando l’ateneo di aver scaricato in modo improprio parte del proprio fabbisogno sui bilanci delle famiglie.

La normativa vigente è chiara: nessuna università pubblica può finanziare le proprie attività facendo pagare agli studenti più del 20% dei fondi ricevuti dallo Stato. E nel 2018, secondo i dati portati in giudizio, l’Università di Torino aveva oltrepassato quel limite. La cifra eccedente avrebbe dovuto essere esclusivamente coperta da risorse statali o da altri canali di finanziamento, non dalle tasche degli iscritti.

Per l’UDU si è trattato di una battaglia lunga e difficile. Dopo la sconfitta iniziale davanti al TAR, l’associazione ha deciso di impugnare la decisione e portare il caso davanti al Consiglio di Stato, ottenendo una vittoria definita «storica». Le parole degli attivisti sono state chiare: «È un successo che appartiene a tutti gli studenti italiani. Dimostra che non si possono aggirare i limiti di legge con escamotage contabili». Una presa di posizione forte, che non riguarda solo il Piemonte, ma rischia di aprire un fronte nazionale, con potenziali ricadute su altri atenei che si trovassero in condizioni simili.

Ma a distanza di mesi dalla pubblicazione della sentenza, la realtà è molto diversa dalle attese. I rimborsi promessi faticano ad arrivare, e in molti casi si rivelano del tutto insufficienti rispetto a quanto versato. L’Università di Torino ha effettivamente aperto una procedura per richiedere la restituzione delle quote eccedenti, ma lo ha fatto applicando criteri estremamente restrittivi, tanto da sollevare nuove proteste e sospetti.

Secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale pubblicato sul sito di UniTo, ha diritto al rimborso solo chi ha effettuato versamenti nell’anno solare 2018, a prescindere dall’anno accademico di riferimento. La percentuale rimborsata ammonta esattamente al 33,377% delle somme pagate nel corso del 2018. Questo significa che non vengono considerati validi i pagamenti effettuati nei primi mesi del 2019, anche se riferiti ad anni accademici compresi nel periodo oggetto della sentenza, ovvero il 2017-2018 e il 2018-2019.

Restano inoltre esclusi dal rimborso molti contributi accessori, tra cui la tassa regionale, l’imposta di bollo, i costi per il CUS e per la SIAE, oltre alle penali di mora e ad altre spese di servizio. Tutte somme che, sommate, rappresentano una porzione consistente del carico fiscale sostenuto dagli studenti.

Una decisione che sta sollevando fortissime perplessità, sia dal punto di vista etico che legale. Molti studenti che avevano versato l’importo in più rate, con scadenze spalmate tra fine 2018 e inizio 2019, si vedono ora esclusi dal rimborso per la parte pagata dopo il 31 dicembre, pur trattandosi di quote relative allo stesso anno accademico.

Un lettore del nostro giornale ha raccontato la sua esperienza: «Nel 2018 ho pagato 450 euro, e nel 2019 ho versato il resto, cioè circa 2300 euro. In totale avevo speso 2900 euro, ma l’università mi ha restituito appena 150 euro. Dicono che la parte versata nel 2019 non rientra nella sentenza». Una logica contabile, ma che contraddice lo spirito della decisione del Consiglio di Stato, che faceva esplicitamente riferimento all’anno accademico, non a quello fiscale.

Il sospetto diffuso, tra chi aveva accolto con entusiasmo la notizia della condanna dell’università, è che si stia tentando di ridurre drasticamente l’impatto economico della sentenza, restringendo il perimetro degli aventi diritto e limitando la portata dei rimborsi. Ad oggi, infatti, solo una minima parte dei 39 milioni è stata effettivamente restituita. La procedura prevede tempi lunghi: ogni richiesta viene esaminata entro 90 giorni dal mese successivo alla presentazione e i rimborsi vengono disposti con provvedimenti mensili. Ma l’impressione generale è che non tutti saranno trattati allo stesso modo.

Per ottenere quanto spetta, gli studenti devono accedere alla piattaforma MyUnito utilizzando SPID o credenziali universitarie, selezionare la carriera corretta e inserire un IBAN intestato o cointestato. In caso di carta prepagata, è necessario verificare che il rimborso non superi i limiti di capienza della carta stessa. Tutte richieste tecnicamente legittime, ma che nella pratica si sono trasformate in ostacoli burocratici per chi cerca di far valere un diritto sancito in sede giudiziaria.

L’Università di Torino, da parte sua, non ha rilasciato ulteriori dichiarazioni, rimandando a una sezione specifica del portale dedicata al “Diritto allo Studio”. Le richieste di assistenza vengono gestite esclusivamente attraverso un ticket via Service Desk, senza possibilità di interazione tramite altri canali. Una modalità che non contribuisce a rasserenare gli animi, in un contesto già segnato da sfiducia e frustrazione.

Il rischio, ora, è che la delusione per un’occasione mancata si trasformi in un nuovo fronte legale. L’UDU sta valutando se intraprendere ulteriori azioni per contestare l’interpretazione restrittiva adottata dall’ateneo, ritenuta in contrasto con il principio espresso dai giudici amministrativi. Anche perché, con i criteri attuali, l’obiettivo di restituire i 39 milioni di euro appare irraggiungibile.

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