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05 Giugno 2025 - 23:00
foto d'archivio
“Non vogliamo la cassa integrazione di Stato. Vogliamo solo lavorare”. È questo il grido che sale unanime dalle campagne, dai laboratori, dalle piccole imprese artigiane che da anni scommettono su una materia prima antica e moderna al tempo stesso: la canapa. Un grido che ieri ha invaso il palazzo della Regione Piemonte, dove le Commissioni consiliari Ambiente e Agricoltura, riunite in seduta congiunta sotto la presidenza di Sergio Bartoli (Lista Civica Cirio Presidente PML), hanno ascoltato gli operatori del settore della canapa industriale, allarmati dalle nuove disposizioni contenute nell’articolo 18 del cosiddetto Decreto Sicurezza. Una norma che vieta “tutte le attività legate ai fiori di canapa”, colpendo al cuore un comparto che in Piemonte impiega oltre 1200 lavoratori e che, a livello nazionale, genera quasi due miliardi di euro di fatturato complessivo.
A parlare sono stati agricoltori, commercianti, trasformatori, rappresentanti di associazioni e imprenditori che con la canapa non ci fanno gli spinelli, ma alimenti, cosmetici, tessuti, materiali per la bioedilizia. Nessuno di loro tratta sostanze con effetti psicotropi. Eppure, si ritrovano improvvisamente fuorilegge, in balia di una normativa che non distingue, non chiarisce, non tutela. “Questo provvedimento getta nell’incertezza un intero comparto agricolo – ha denunciato con fermezza Gabriele Carenini, presidente regionale della Cia Agricoltori italiani – come se la canapa fosse sinonimo di droga. Invece il nostro è un settore ad alto valore aggiunto, riconosciuto dalla legislazione europea, e con un potenziale produttivo straordinario”.
Gabriele Carenini
La legge, entrata in vigore appena un giorno fa, impedisce la lavorazione, distribuzione e vendita delle infiorescenze della canapa coltivata, ovvero proprio quella parte della pianta che costituisce la base per moltissimi prodotti commerciali legali e già in commercio. Un colpo durissimo, soprattutto per chi ha investito risorse, anni di lavoro e innovazione in una coltura tornata in auge dopo decenni di oblio. Fino agli anni Cinquanta, l’Italia era il secondo produttore al mondo di canapa industriale, e il Piemonte – in particolare Carmagnola – era un’eccellenza riconosciuta, soprattutto per la produzione di cordami.
Oggi, secondo i dati forniti durante l’audizione, in Piemonte ci sono circa 200 aziende attive lungo la filiera della canapa, per un indotto economico di circa 25 milioni di euro. A livello nazionale il comparto dà lavoro a oltre 23mila persone. Eppure, nel 2024, basta un decreto per far crollare tutto. La testimonianza dell’imprenditore agricolo Matteo Castelli, alessandrino, è emblematica: coltiva cinque ettari di canapa, impiega 25 dipendenti, e ora non sa più se potrà continuare. “L’infiorescenza rappresenta la quasi totalità del nostro fatturato. Se viene vietata, come ci paghiamo le spese? Come teniamo in piedi l’azienda? Come diciamo ai nostri collaboratori che da domani non c’è più lavoro?”
Accanto a lui, altri volti e nomi del settore: Luigi Andreis (Cia Agricoltori delle Alpi), Federica Baravalle e Luciano Bosco (Assocanapa), Raffaele Desiante, Sandra D’Alessio, Marco Bernardin (Imprenditori Canapa Italia), Giuseppe Croce (Federcanapa), Vincenzo Guarnieri (Canapa Sativa Italia), Stefania Farsella (Associazione Negozianti Canapa), e ancora i rappresentanti del Canavese riuniti sotto l’etichetta di Canavese Canapa: Virginia Avallone, Andrea Bartoli, Francesco Scopelliti, Giuseppe Di Giovanni, Luca Bertetti. Tutti accomunati da una medesima preoccupazione: un’interpretazione repressiva e ideologica della normativa rischia di azzerare un comparto che invece andrebbe sostenuto e incentivato.
“L’indeterminatezza della legge è spaventosa – ha aggiunto Luigi Andreis –. Non dice chiaramente cosa si può e cosa non si può fare. E intanto, chi lavora con serietà rischia di dover chiudere. La bioedilizia, per esempio, è costretta a importare fibra di canapa dall’estero. Un’assurdità tutta italiana”.
Nel solo Piemonte, le superfici coltivate a canapa in pieno campo superano i 70 ettari, ma il dato è largamente sottostimato: non tiene conto delle coltivazioni in serra e indoor, che non risultano dai fascicoli aziendali. Il timore condiviso da tutti è che la nuova legge costringa le imprese a una scelta impossibile: chiudere o sfidare la legge. Senza contare i danni già in atto: contratti annullati, ordini bloccati, clienti in fuga. E tutto per colpa di una confusione che – sottolineano gli operatori – non esiste altrove. In Francia, Germania, Svizzera e Austria, la canapa industriale è regolamentata in modo chiaro. In Italia no.
“Non stiamo chiedendo ristori o indennizzi – ha ribadito Carenini – ma la possibilità di continuare a lavorare. Il governo deve fare chiarezza. E la Regione deve farsi portavoce di questo grido di allarme”. È per questo che le associazioni hanno proposto la creazione di un tavolo regionale permanente sulla canapa, per monitorare gli effetti delle norme e difendere chi opera nella legalità.
Dal canto suo, il presidente della Commissione Ambiente Sergio Bartoli ha assicurato attenzione: “L’audizione congiunta di oggi è stata un momento di confronto importante. La canapa può diventare un pilastro dell’economia sostenibile, a patto che ci siano regole chiare, strumenti di sostegno e un’informazione corretta. Uno dei problemi principali è proprio la confusione tra canapa industriale e cannabis a uso ricreativo. Serve un impegno concreto per promuovere trasparenza, sicurezza e innovazione nel settore. Le proposte raccolte oggi saranno oggetto di attenta riflessione per eventuali iniziative legislative”.
All’audizione erano presenti anche i consiglieri regionali Sarah Di Sabato (M5S), Vittoria Nallo (SUE), Valentina Cera (AVS), Roberto Ravello (FdI), Alberto Unia (M5S), che hanno posto domande e ascoltato con attenzione le richieste degli operatori.
E mentre il dibattito politico si prepara a nuove battaglie legislative, nei campi piemontesi aleggia un senso di spaesamento. C’è chi ha investito anni di vita, mutui, risparmi, speranze. E ora si ritrova senza risposte, a chiedere solo una cosa: “Lasciateci lavorare”.
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