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"Lavoratori trattati come pezze da piede". A Borgaro incrociano le braccia

Protesta e dignità: sfidano le condizioni inaccettabili dello stabilimento con uno sciopero per i diritti e la sicurezza sul lavoro.

Lavoratori trattati come pezze da piede”. A Borgaro incrociano le braccia

È arrivata l’ora della protesta aperta. Martedì 3 giugno, in mattina, i 60 addetti in somministrazione impiegati nello stabilimento I Blu di Borgaro Torinese incroceranno le braccia e daranno vita a un presidio davanti ai cancelli dell’impianto.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Le condizioni di lavoro definite “inaccettabili” dai sindacati. Ma la crepa si è aperta mesi fa, quando l’azienda – partecipata all’80% dal colosso pubblico Iren, a sua volta controllata dal Comune di Torino – ha deciso di esternalizzare il reparto di selezione plastica affidandolo alla cooperativa CFP.

Una decisione presa senza coinvolgere né i sindacati né le agenzie per il lavoro, gettando nell’incertezza decine di lavoratori già impegnati all’interno dello stabilimento. Un’operazione frettolosa, gestita con tempi giudicati “inadeguati” dalla NIdiL CGIL Torino, che ha da subito chiesto un incontro a tutte le parti coinvolte. Ma da allora, a parte una generica disponibilità da una delle agenzie, nessuna risposta.

E intanto le condizioni sono precipitate. Il quadro che emerge è sconcertante e – per usare le parole del segretario generale di NIdiL CGIL Danilo Bonucci“riporta indietro le lancette dell’orologio dei diritti alla fine dell’Ottocento”.

Nel sito, spiegano i sindacati, regna un clima di paura e ricatto: permessi negati, turni modificati all’improvviso, straordinari non pagati, malattie non retribuite, ferie imposte e mai richieste ma comunque segnate in busta paga. I lavoratori vengono spostati da un turno all’altro senza preavviso, compromettendo i tempi di riposo previsti dalla legge. E chi osa chiedere chiarimenti viene intimidito.

Il comunicato firmato da NIdiL CGIL è un atto di accusa senza precedenti: “Le regole e le norme sembrano essere solo uno strumento utile agli interessi unilaterali della Cooperativa.".

Le visite mediche obbligatorie? Convocate fuori orario e non retribuite. Gli indumenti da lavoro? Assenti o riciclati, con addetti costretti a indossare le vecchie divise marchiate I Blu. E poi c’è il caso, gravissimo, delle lavoratrici con patologie certificate dal medico aziendale, comunque inserite nei turni regolari, “esponendole a gravi rischi per la salute”.

Il danno è anche collettivo. L’impianto I Blu non è un’azienda qualsiasi: è uno dei più grandi d’Italia nella filiera del riciclo della plastica. Un'infrastruttura strategica lodata a suo tempo dalla Città Metropolitana di Torino e dalle stesse autorità regionali come simbolo dell’economia circolare.

Ma oggi, mentre lo storytelling green impera nei convegni e nei report aziendali, dietro le mura del capannone di Borgaro si consuma un’altra storia. Quella di 60 lavoratori trattati come pezze da piedi, “usa e getta”, nel cuore di un’impresa che dovrebbe incarnare innovazione, sostenibilità e responsabilità sociale.

Lo sciopero annunciato rappresenta un punto di svolta. Una presa di posizione necessaria, affermano i rappresentanti sindacali, per riportare al centro la dignità e i diritti del lavoro: orari chiari, buste paga corrette, sicurezza garantita, visite sanitarie retribuite, rispetto delle patologie e dei tempi di vita dei lavoratori.

Danilo Bonucci è netto: “Vorremmo sapere cosa pensa Iren di tutto questo. E cosa ne dice il Comune di Torino, che con la sua partecipazione controlla indirettamente anche queste scelte. È inaccettabile che nel 2025 si possa ancora lavorare sotto minaccia e ricatto, con livelli di sicurezza minimi e tutele inesistenti”.

Una domanda, più delle altre, aleggia tra i lavoratori e i rappresentanti sindacali: com’è possibile che un impianto pubblico, sostenuto con risorse della collettività, finisca per produrre dumping economico e sociale? Perché esternalizzare, se poi le condizioni peggiorano drasticamente? E perché tutto questo silenzio?

La prossima settimana ci sarà un presidio. Ma prima ancora, ci sarà un appello: ai vertici aziendali, alle istituzioni, all’opinione pubblica. Perché questa non è solo una vertenza. È lo specchio di un’epoca in cui le parole sostenibilità e dignità sembrano diventate slogan intercambiabili. A Borgaro, oggi, il tempo dei proclami è finito.

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