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Arcidiocesi di Torino

Lanzo saluta i salesiani: dopo 161 anni cala il sipario su un’epoca. Arriva un parroco da Settimo Torinese

La decisione dell’Ordine di lasciare parrocchia, oratorio e comunità scuote Lanzo. Il sogno di Don Bosco nato sul monte Buriasco si spegne nel silenzio, lasciando una città più povera di spirito e memoria. Arriva da Settimo Torinese don Stefano Bertoldini.

Lanzo saluta i salesiani: dopo 161 anni cala il sipario su un’epoca. Arriva un parroco da Settimo Torinese

Lanzo saluta i salesiani: dopo 161 anni cala il sipario su un’epoca. Arriva un parroco da Settimo Torinese

Dopo 161 anni, a Lanzo Torinese si chiude un capitolo che ha attraversato generazioni, accompagnato storie familiari, sostenuto vocazioni, guidato cammini di fede, promosso l’impegno educativo e alimentato la vita sociale del paese. I salesiani, presenza silenziosa ma decisiva, punto di riferimento costante per l’intera comunità, si apprestano a lasciare definitivamente la città. La notizia, che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni dai vertici dell’ordine religioso, ha già iniziato a circolare e a suscitare emozione, preoccupazione, ma soprattutto un profondo senso di smarrimento tra chi con quella presenza è cresciuto.

La decisione, maturata all’interno della congregazione, sembra dettata da esigenze di razionalizzazione interna e da motivi anagrafici sempre più comuni nella vita delle comunità religiose: i sacerdoti sono sempre meno, sempre più anziani, e mantenere realtà periferiche diventa logisticamente ed economicamente insostenibile. Così, don Franco Gribaudo e i suoi quattro confratelli si preparano a lasciare la parrocchia, l’oratorio, le aule, i luoghi della catechesi e della formazione che per decenni hanno custodito e animato. Al loro posto – così si dice – arriverà don Stefano Bertoldini, attuale parroco di Santa Maria Madre della Chiesa a Settimo Torinese.

Ma per Lanzo, e per tutti i suoi abitanti, non si tratta solo di un avvicendamento pastorale. È qualcosa di ben più profondo: è la fine di un’epoca. Un cambiamento che somiglia più a un lutto che a una semplice transizione. Perché i salesiani, in questa città, non sono mai stati soltanto “preti”. Sono stati educatori, formatori, animatori, guide, compagni di strada. Dal catechismo alla scuola, dal teatro alle escursioni, dalla messa alla partita a pallone nel campetto dell’oratorio, la loro presenza ha modellato non solo la vita religiosa della comunità, ma anche il suo tessuto civico, sociale e culturale.

parroco

Tutto cominciò nel 1851, quasi per caso. Don Giovanni Bosco, tornando da un periodo di esercizi spirituali al Santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo, decise di fermarsi a visitare il paese, accompagnato dall’amico Giuseppe Brosio. Durante una passeggiata sul Monte Buriasco, restò colpito dalla posizione, panoramica e isolata al tempo stesso. Un luogo perfetto – pensò – per fondare un oratorio e un collegio. Ci vollero tredici anni per realizzare quel sogno, ma nel 1864 aprì finalmente il Collegio San Filippo Neri, il secondo convitto salesiano dopo quello di Valsalicea Torino. Fu l’inizio di un’avventura educativa che avrebbe segnato la città per oltre un secolo.

Fino al 1997, il collegio rappresentò uno dei cuori pulsanti dell’istruzione e della formazione giovanile in Canavese. Un punto di riferimento per intere generazioni. Dalle sue aule uscirono insegnanti, tecnici, amministratori, imprenditori, professionisti, ma anche tanti ragazzi che, pur non proseguendo gli studi, impararono tra quelle mura il senso della responsabilità, della collaborazione, della solidarietà e del lavoro ben fatto.

Dopo la chiusura, l’edificio ha conosciuto una nuova destinazione. Oggi, una parte è stata trasformata in RSA – Residenza Sanitaria Assistenziale Collegio San Filippo Neri, affidata alla gestione del Gruppo Santa Croce. Il progetto di riconversione, curato dallo studio torinese Picco Architetti, ha restituito nuova vita a una struttura carica di memoria, mantenendone lo spirito sobrio e il valore simbolico nel paesaggio urbano.

Ma il vero lascito dei salesiani non è solo architettonico. Il vero oratorio, quello che resterà nei ricordi, è fatto di volti, gesti, incontri. È il cortile dove si giocava e si litigava, la sala dove si preparavano le recite, i ritiri spirituali, le gite, le riunioni, i pomeriggi passati a chiacchierare con gli animatori. Uno spazio che non era solo fisico, ma interiore. Un luogo in cui si imparava a vivere. Dove l’educazione si faceva quotidianità.

L’impronta lasciata dai salesiani a Lanzo è visibile anche nella vita pubblica. Basta guardare all’attuale composizione dell’amministrazione comunale: il sindaco, il vicesindaco Fabrizio Casassa, l’assessore Paolo Gisolo e Cesare Lamberto sono tutti ex allievi, cresciuti all’ombra del campanile, tra i banchi dell’oratorio e le stanze del catechismo. Una testimonianza tangibile di un modello educativo che ha saputo formare buoni cristiani e onesti cittadini, proprio come voleva Don Bosco.

Nel 2024, con grande partecipazione, Lanzo aveva celebrato il 160° anniversario della presenza salesiana in città. Meno di un anno dopo, il clima è completamente cambiato. Oggi la città si ritrova a dover salutare quella stessa comunità che aveva appena festeggiato. E lo fa con un dolore trattenuto ma evidente, consapevole che questa non è una perdita come le altre.

Anche i luoghi fisici che hanno ospitato quella storia cominciano a mostrare i segni del tempo. Nel 2016, l’ex collegio fu vittima di un furto: alcune lastre in pietra d’epoca furono trafugate, arrecando danno a un edificio vincolato dalla Soprintendenza. Nel 2022, un incendio devastò l’ala sud, ormai in disuso, sollevando dubbi e preoccupazioni sullo stato di abbandono e sulla mancanza di una strategia di conservazione e valorizzazione di questo pezzo di memoria collettiva.

Eppure, nella storia salesiana lanzese c’è anche un episodio poco conosciuto ma straordinariamente simbolico. È il 26 aprile 1945, negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale. Le truppe tedesche occupano il collegio, ma la resa avviene senza spargimento di sangue. A mediare con successo, evitando uno scontro armato, furono proprio due salesiani: don Ulla e il teologo Frasca. Un fatto che ricorda come la loro opera non si limitò all’educazione, ma seppe farsi anche diplomazia, coraggio, umanità.

Oggi restano la parrocchia, le aule del catechismo, i muri dell’oratorio. Ma senza la guida carismatica dei salesiani, questi spazi rischiano di perdere la loro anima. Resta il vuoto lasciato da chi, per oltre un secolo e mezzo, ha scelto di stare tra la gente, in mezzo ai giovani, con discrezione, tenacia e dedizione.

Lanzo saluta i suoi salesiani. Ma non c’è nostalgia, per quanto sincera, che possa colmare il vuoto lasciato da una presenza così viva e radicata. Il cuore di Don Bosco ha battuto a Lanzo per più di centosessant’anni. E continuerà, forse, a battere ancora – nei ricordi, nei valori trasmessi, nelle vite toccate. Ma il suono non sarà più lo stesso.

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