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Ivrea in Azione
15 Aprile 2025 - 08:00
In foto Maurizio Perinetti e Francesco Giglio
Nella società contemporanea, il dibattito politico e sociale passa sempre più dai social media, diventati ormai l’agorà digitale dove si esprimono opinioni, si denunciano problemi e si chiedono risposte. Ma ogni volta che su questi canali si accendono i riflettori su questioni serie, che toccano da vicino l’intera comunità eporediese, scatta puntuale la reazione di fastidio di chi governa. “Non era il luogo adatto”, “non si fa politica sui social”, ripetono. In realtà, si vorrebbe semplicemente evitare che le contestazioni pubbliche mettano a nudo contraddizioni, ritardi e un disagio reale che, purtroppo, si preferisce ignorare.
Perché tanto fastidio? La risposta è semplice: si chiama paura del dissenso. La maledetta logica del consenso e dei numeri domina la scena. L’idea che un confronto aperto possa intaccare il gradimento nei sondaggi paralizza la politica e la svuota di senso. Ed è così che, da anni, il Partito Democratico convive con una schizofrenia politica che ha un nome preciso: la sindrome da personalità multipla. Da un lato la sinistra radicale, dall’altro i liberali riformisti. Nel mezzo, un equilibrio impossibile da tenere, che finisce per penalizzare chi? I cittadini.
Chi chiede solo una cosa – governare nell’interesse collettivo, non di pochi amici fidati – si ritrova davanti una politica timorosa, chiusa in se stessa, incapace di affrontare pubblicamente le proprie mancanze. Una politica che ha dimenticato il suo compito: servire la comunità, non compiacere se stessa.
Il confronto politico viene ormai limitato a riunioni autoreferenziali, mascherate da eventi pubblici, dove non si discute, si approva. E chi prova a sollevare temi scomodi viene accusato di voler fare polemica, se non peggio. Ma un sistema democratico autentico non può temere le critiche: deve accoglierle, discuterle, rispondere. Come ha ricordato anche Maurizio Perinetti, è tempo di una nuova stagione di cultura politica, fatta di ascolto, dialogo, responsabilità.
Eppure, chi governa continua a chiudersi nella torre d’avorio. I social media? Ridotti a strumenti di propaganda, con una comunicazione unilaterale degna di una newsletter aziendale. Ti scrivono su whatsapp cosa fanno – anzi, cosa credono di fare bene – e tu puoi al massimo rispondere con una faccina sorridente. Tutto il resto è “disturbo”, “bagarre”, “strumentalizzazione”.
Nel frattempo, fuori da questa bolla comunicativa, Ivrea è attraversata da problemi veri: rapine, risse, degrado, insicurezza. E no, non sono solo percezioni. Ma questi temi scompaiono, perché disturbano la narrazione. E se qualcuno osa sollevarli pubblicamente, magari sui social, viene subito additato come “strumentale”, “esagerato”, “nemico del progresso”.
Eppure, basterebbe poco. Basterebbe ammettere che qualcosa è andato storto. Basterebbe dire “abbiamo sbagliato, abbiamo sottovalutato un problema esistente”. Invece no. Si preferisce fingere nulla sia successo. Anzi, si prova a recuperare terreno con la solita “polvere di stelle”: slogan, eventi, post autocelebrativi, deleghe incrociate giocate come pedine in una partita a dama. Ma la credibilità, quella vera, si ricostruisce solo con atti concreti. E questa, oggi, è ai minimi storici. Chi governa dovrebbe capirlo: le opposizioni non molleranno il tema. Non perché siano cattive, ma perché rappresentano una fetta di città che non si sente ascoltata. E che ha tutto il diritto di esserlo. Il giudizio del cittadino non è una minaccia: è l’essenza della democrazia. Solo chi ha qualcosa da nascondere teme il confronto.
E allora, caro Matteo Chiantore, è tempo di ascoltare. Davvero. Senza filtri, senza riunioni riservate, senza comunicati preconfezionati. Perché la politica è coraggio, non gestione del consenso. E se non si trova il coraggio di cambiare rotta, il distacco con i cittadini sarà destinato solo ad aumentare.
Insomma, le recenti scelte della maggioranza eporediese danno ragione alle opposizioni. Ma nessuno lo ammetterà: troppo grande è la paura di perdere potere. E mentre cercano di recuperare consensi a suon di storytelling e grafiche colorate, resta sul campo una verità che non si può più ignorare: il problema esiste, e chi lo ha sollevato aveva – ed ha – ragione.
Ciao!!
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