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Giudiziaria

"I pm mi hanno rovinato politicamente". Stefano Esposito assolto, ma il prezzo è altissimo

L’inchiesta “Bigliettopoli” si sgretola: intercettazioni illegali, competenze territoriali violate e accuse smontate dai giudici romani. L’ex senatore denuncia un danno incalcolabile.

Stefano Esposito

Stefano Esposito

Sette anni di accuse infondate e violazioni legali: così si potrebbe sintetizzare la vicenda giudiziaria che ha travolto Stefano Esposito, ex senatore torinese, e che si è conclusa con l’archiviazione definitiva lo scorso 24 giugno, firmata dal gip Angelo Giannetti del Tribunale di Roma. Un procedimento nato male e finito peggio, con un impianto accusatorio smontato pezzo per pezzo dai magistrati romani, che hanno parlato apertamente di “dubbi sulla fondatezza” dei capi d’imputazione.

La storia parte dalla cosiddetta “Bigliettopoli”, l’inchiesta della procura di Torino guidata dal pm Gianfranco Colace, che ipotizzava un sistema di scambi di favori tra Esposito e l’imprenditore Giulio Muttoni, ex patron della società Set Up Live. A Esposito erano stati contestati reati pesantissimi: turbativa d’asta, corruzione e traffico di influenze. Reati che, per un politico all’epoca in piena attività, significavano una condanna pubblica ancor prima che giudiziaria. Eppure, tutto ciò si è rivelato un colossale errore.

Stefano Esposito

I magistrati capitolini hanno smontato punto per punto le accuse, sottolineando che non solo non c’era alcuna prova concreta, ma che molte delle ipotesi erano basate su “congetturali spunti investigativi”. I prestiti ottenuti da Muttoni, per esempio, sono stati regolarmente restituiti con tanto di interessi, mentre il presunto interessamento di Esposito nei confronti dell’interdittiva antimafia contro Set Up Live è stato giudicato lecito e privo di qualsiasi profilo illecito. Non solo: l’intero filone relativo alle infiltrazioni mafiose nella società è stato prima avocato dalla Procura generale e poi archiviato.

Ma il vero colpo di scena è arrivato dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegali ben 500 intercettazionieffettuate tra il 2015 e il 2018 dai pm torinesi. Intercettazioni condotte nonostante fosse noto fin dall’inizio che Esposito, essendo parlamentare, necessitava dell’autorizzazione preventiva del Senato. Non solo: il suo amico Muttoni è stato intercettato addirittura 23.738 volte. Un abuso che ha portato il Csm ad aprire un procedimento disciplinare contro il pm Colace e la gip Lucia Minutella, accusati di aver gestito l’inchiesta violando le più elementari regole procedurali.

La giustizia romana, al contrario, ha ripristinato un principio fondamentale: senza prove certe, non ci possono essere condanne. Come hanno dichiarato i pm di piazzale Clodio, “le prove, considerate nella loro individualità e in sintesi logica, non rivelano mai, in alcun caso, la loro concreta idoneità a dimostrare l’esistenza di un patto illecito per l’esercizio di funzioni pubbliche”. Tradotto: Esposito è stato trascinato in un calvario giudiziario basato sul nulla.

“Il danno che mi è stato inflitto è incalcolabile - ha amaramente commentato l’ex senatore, comprensibilmente provato - Una ferita aperta che non si rimargina. Questa archiviazione segna la fine di una sofferenza non raccontabile, ma non cancella le conseguenze a lungo termine. Per sette anni, 2589 giorni, sono stato vittima di accuse infamanti e di gravi violazioni dei miei diritti”.

L’amarezza è tangibile nelle sue parole: “Non considero questa una vittoria. Le cicatrici che porto, così come quelle inflitte alla mia famiglia, non potranno mai essere cancellate da niente e da nessuno”.

Infine l'appello: “La giustizia ha ristabilito la verità, ma il prezzo che ho pagato è stato altissimo. Cercherò di raccontare questa vicenda affinché simili ingiustizie non si ripetano”.

Un epilogo che lascia spazio a riflessioni amare. Quanti altri casi simili, meno noti, si consumano nei tribunali italiani? E quanti, senza la possibilità economica e mediatica di difendersi, vedono la propria vita distrutta per accuse rivelatesi poi infondate? Su queste domande si gioca la credibilità dell’intero sistema giudiziario.

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