Come in una serie televisiva anche l’ultima stagione è andata in scena. Lo ha fatto, come era previsto e prevedibile, lasciando il fiato sospeso, seppur l’esito fosse certo. Il governo Draghi non c’è più. Viva Draghi, il democratico, abbasso i partiti che non gli hanno dato la fiducia che meritava. Ma davvero è andata così ? Come in tutte le serie che si rispettano il finale era già scritto, o quanto meno abbozzato, nella prima stagione: Draghi venne chiamato a sostituire Conte il 13 febbraio 2021, per dare vita a un governo di larghe intese che si autodefinì, con estrema modestia, “il governo dei migliori”. Draghi venne quindi incaricato, poche settimane dopo l’insediamento del nuovo (si fa per dire) presidente degli Stati Uniti, Biden. Draghi venne chiamato per far fronte all’emergenza COVID e per gestire l’avvio del PNRR in quanto i fondi erano già stati assicurati all’Italia dal governo Conte. Fare le riforme è il mantra che ormai da 20 anni tutti i governi che si sono succeduti ripetono in modo ossessivo e anche in questo caso non venne fatta eccezione. I giornali italiani, sempre meno letti ma sempre più pronti a “mettersi a disposizione” di chi ha, pro tempore, il potere, incominciarono a parlare di centinaia di obiettivi raggiunti, di traguardi superati, di riforme fatte. Parlamentari scadenti, incapaci di dare risposta alle tante domande del Paese reale, impararono presto a rispondere ad ogni domanda con un suono simile ad una pernacchia: “è già previsto nel PNRR”. In realtà “il governo di migliori”, come tutti i governi precedenti, ha navigato a vista. Alcune cose le ha affrontate bene, altre meno, altre per niente. In compenso ha riempito l’Italia di bonus fantasiosi (i rubinetti, le tende da sole, le vacanze, e via sprecando), e di bonus sostanziosi (super bonus per l’edilizia, per l’industria, per i Comuni) producendo anche in questo caso una generale irresponsabilità di spesa e un aumento vertiginoso dei prezzi. Il collante delle larghe intese era la debolezza dei partiti, la spesa pubblica (con la sua preoccupante quota di debito), le nomine di una vasta (sempre più vasta) platea di personaggi con incarichi pubblici o semi pubblici inutili e remunerati. Se ne volete vedere un esempio andate a leggere i nomi di coloro che hanno firmato la scorsa settimana gli appelli per la prosecuzione del governo Draghi. Poi arrivò l’ora della rielezione del Capo dello Stato. Mario Draghi, nonostante la sua disponibilità fosse evidente, non ce la fa. I principali partiti non trovarono la “larga intesa” su chi doveva fare il Presidente del Consiglio dopo Draghi. Il 3 febbraio 2022 venne riconfermato Mattarella e, forse, venne anche scritto il destino politico di Super Mario. Poco dopo arrivò la guerra in Ucraina a causa dell’invasione ordinata dal “liberal” Putin. Una nuova emergenza entrò nell’agenda Draghi alla quale presto si aggiunsero l’emergenza energetica, i prezzi galoppanti, l’incertezza sul futuro. Tutti buoni motivi citati in questi giorni per continuare con le larghe intese e i governi di unità nazionale. Ma per fare cosa ? Lasciar governare l’uomo solo al comando: Mario Draghi. Peccato che nelle democrazie ogni tanto si deve pure votare (e i cinque anni stanno per finire). Peccato, hanno detto in coro tutti (o quasi) i parlamentari perché c’era ancora tanto da fare: il PNRR, il COVID, la crisi sociale, il prezzo della benzina e delle bollette di gas e luce, e poi è indispensabile avere il tempo per approvare il bilancio del 2023 e perché no anche del 2024, 2025, 2026… Peccato. Peccato che si debba per forza andare al voto. Come faremo a fare tutto ciò che non è stato fatto fino ad ora ? Questo sembra essere l’argomento più usato in questi giorni da politici, sindaci, giornalisti, commentatori, uomini e donne del mondo dellafinanza e degli affari.Ovviamente tutto quanto fatto e detto “per il bene dell’Italia” e di noi cittadini italiani. Almeno un terzo degli attuali parlamentari non saranno più rieletti e dovranno tornare a vivere in mezzo a persone normali, con redditi normali. E’ la conseguenza del referendum e dei molti si’ (compreso il mio) dato dai cittadini alla richiesta di riduzione del numero dei parlamentari. Ma Mario Draghi questo problema non ce l’ha e come lui tutti coloro che stanno davvero in alto, nella cosiddetta élite. Lui non è Monti che, con un peccato di vanità, ha provato a farsi un partito e partecipare alle elezioni, L’élite è tale se sta fuori dalla mischia. Niente strette di mano sudate o pacche sulle spalle, niente mercati o cancelli delle fabbriche. Niente vuote promesse elettorali. Mario Draghi è e resta l’élite che tutti vorrebbero essere, la riserva della Repubblica che non si mischia con l’inutile liturgia del voto. E’ per questo che il soldato Draghi è stato salvato dalla mischia, semplicemente perché non poteva rimanere fino alla fine della puntata. Draghi è stato evacuato dalla zona dei combattimenti democratici, dalla competizione elettorale tra i partiti, dalla crisi di autunno frutto anche dei fallimenti delle politiche del suo governo (e di quelli precedenti). Draghi doveva essere salvato affinché dopo il voto ci potessero ancora essere larghe intese guidate da Draghi e, come in ogni ultima stagione, ci sono indizi che lasciano intuire cheprobabilmente ce ne sarà un’altra ancora. Chi ha rubato l’agenda a Draghi ? Mattarella durerà 7 anni ? Che fine ha fatto il campo largo ? Cosa ha fumato Berlusconi ? Perché Forza Italia ha detto no alla mozione di Casini ? Quante stelle sono rimaste a Grillo? Il seguito alla prossima puntata
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