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Natale
01 Dicembre 2025 - 17:27
Il "Te Deum" ritrovato torna a suonare nella Reggia di Venaria
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Data di inizio 07.12.2025 - 17:30
Data di fine 07.12.2025 - 20:00
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Alla Reggia di Venaria il Natale arriva in anticipo, con un concerto che non si limita a celebrare la tradizione: la riporta letteralmente in vita. Il 7 dicembre, nella Cappella di Sant’Uberto, l’Orchestra Barocca dell’Accademia di Sant’Uberto e il Coro del Liceo Cavour di Torino porteranno al pubblico un programma che attraversa la prima metà del Settecento europeo e culmina in una prima assoluta: il Te Deum di Andrea Stefano Fioré, maestro di cappella di Vittorio Amedeo II, eseguito per la prima volta in epoca moderna.
Un’occasione rara, resa possibile grazie alla trascrizione dall’originale custodito nell’Archivio arcivescovile di Torino: un modo per ricordare che, dietro le magnificenze della Reggia, c’è un patrimonio musicale che ancora respira. E che l’UNESCO, dal 2020, riconosce come parte del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità: l’arte dei suonatori di corno da caccia, anima identitaria dell’Accademia, ancora oggi trasmessa a giovani musicisti attraverso corsi e progetti che legano il passato al futuro.
Il concerto — gratuito e a ingresso libero — fa parte della rassegna Cerimoniale e Divertissement 2025, un titolo che da quasi vent’anni accompagna le attività musicali delle Residenze Reali Sabaude. Ed è il risultato di una rete di collaborazioni che tiene insieme istituzioni, scuola e territorio: la Reggia di Venaria, la Città di Venaria Reale, il Liceo Cavour, i tutor dell’Accademia e le nuove generazioni che si affacciano al repertorio barocco con strumenti originali e competenze ricostruite pezzo dopo pezzo, come si farebbe con un affresco strappato.
Il viaggio musicale parte da Handel, con l’Ouverture del Tolomeo, una pagina che sembra fatta apposta per animare le volte della Cappella: solennità francese e brillantezza inglese fuse in un’unica, teatrale apertura. Prosegue con il Concerto grosso n. 10 di Barsanti, lucchese trapiantato in Scozia, capace di alternare archi, fiati e timpani con una libertà che anticipa una certa idea di sinfonismo. Poi arriva Graun, con la sua Sinfonia in fa maggiore, elegante e imprevedibile come la scuola prussiana richiedeva: un equilibrio di contrasti che scivola dall’energia all’intimità per poi riaffiorare in un Presto finale impetuoso.
E infine Fioré. Un Te Deum monumentale, costruito per doppio coro e un organico orchestrale ricchissimo — trombe, oboi, flauti, archi a cinque parti, basso continuo. Una partitura che mescola gusto francese e chiarezza melodica italiana, aprendo finestre solenni e poi richiudendole su momenti di contemplazione, fino a esplodere nei passaggi guidati dalle trombe e nella danza luminosa dell’In Te, Domine, speravi. Un’opera che racconta non solo la Torino barocca, ma il suo modo di intendere la festa: rigorosa, teatrale, collettiva.
Il concerto sarà anche un omaggio a Sergio Balestracci, scomparso lo scorso dicembre, figura centrale nella riscoperta della musica barocca italiana. Fu lui, nel 1986, a trascrivere e dirigere l’altro Te Deum di Fioré, il G bis 25: un lavoro che oggi appare come il primo tassello di un percorso che va avanti grazie a chi continua a scavare negli archivi per far riemergere ciò che il tempo aveva coperto.
Accanto all’Orchestra dell’Accademia, il Coro del Liceo Cavour, nato nel 2024 e formato da studentesse e studenti tra i 14 e i 19 anni, eseguirà anche lo Stabat Mater di Kodály e An Irish Blessing di Moore. È un coro giovane, ma già dotato di una sorprendente ricchezza timbrica, grazie alla varietà dei suoi membri e al lavoro del Progetto Barocco che unisce formazione, ricerca e pratica esecutiva. Una scelta coerente con la missione dell’Accademia: mettere insieme professionalità e nuove generazioni, senza differenze di ruolo, affinché la musica barocca torni a essere un bene vivo, partecipato, popolare nel senso più nobile.
È questo, in fondo, il messaggio nascosto dietro l’appuntamento del 7 dicembre: il Natale come gesto comunitario, come memoria che attraversa i secoli e continua a suonare. E che grazie a un’istituzione come la Accademia di Sant’Uberto, alla tenacia di chi la guida e alla passione dei ragazzi del Cavour, non rischia di perdersi in un museo, ma trova ancora il suo posto tra le pietre della Reggia e le voci di chi lo interpreta oggi.
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