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Ivrea scende in piazza per la Palestina: musica, rabbia e resistenza

Non è Carnevale, ma un corteo che attraversa la città per gridare “Palestina libera dal fiume fino al mare”. Centinaia di persone, slogan radicali e un DJ set di Ivreatronic per trasformare la protesta in un atto politico collettivo

Piazza Ferruccio Nazionale comincia a riempirsi. Le prime bandiere sventolano,  “Palestina libera dal fiume fino al mare!” grida un gruppo di ragazzi, e in pochi minuti l’eco rimbalza tra le vie del centro storico. Non è Carnevale, non è una parata: è rabbia, consapevolezza, solidarietà. È Ivrea che torna in strada per dire che Gaza non è un nome lontano, ma una ferita che brucia anche qui.

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Gli organizzatori del Comitato Ivrea per la Palestina hanno scelto parole forti e chiare: “Blocchiamo tutto per cambiare tutto”. E davvero qui, tra via Arduino e piazza Maretta, passando sul Ponte Vecchio e nel Borghetto, c’è la sensazione di essere dentro qualcosa che va oltre il locale, oltre l’attualità. I cartelli parlano di sfruttamento, di case inaccessibili, di lavoro precario, di donne uccise. “Israele è nelle nostre città quando ci tolgono il diritto alla casa, quando si muore sul lavoro, quando i fondi vanno alle armi e non alla scuola o alla sanità”, recita un volantino.

È un linguaggio diretto, senza filtri. Si percepisce che qui nessuno è venuto solo per sfilare. È una protesta che unisce generazioni e cause diverse: studenti, lavoratori, famiglie, militanti dei centri sociali, attivisti per la pace. Tutti insieme a gridare che “la resistenza non è reato”.

Le bandiere palestinesi si intrecciano a quelle con i colori della pace.

“Stop genocidio”, “Fuori l’Italia dalla guerra”, “Ivrea resiste”. Qualcuno fischia, altri cantano. Dal marciapiede, una signora con la spesa si ferma e guarda in silenzio, poi annuisce. “Hanno ragione”, mormora.

La manifestazione si chiuderà qui, dove è iniziata, in piazza Ferruccio Nazionale, con un DJ set di Ivreatronic. Ma stavolta non sarà un concerto qualsiasi: la musica sarà protesta, ritmo di una rabbia collettiva. Le casse rimbomberanno, i beat si mescolano agli slogan, e Ivrea sembrerà per un attimo un enorme cuore che pulsa all’unisono contro la guerra.

C’è chi pensa alle bombe su Gaza, chi alle bollette, chi agli amici senza casa o senza lavoro. Tutti, però, sembrano condividere la stessa idea: che la pace non è silenzio, è conflitto, è voce. “La finta pace di Trump rivela la sua ipocrisia imperialista”, si legge nel comunicato del Comitato. “La finanziaria del governo ci dimostra che il colonialismo è anche qua.”

È difficile restare neutrali davanti a queste parole. E forse è proprio questo il punto. Ivrea oggi non celebra, non ricorda, non rievoca: grida. Grida per Gaza, per chi non ha voce, per chi ogni giorno lotta. Grida anche per se stessa, per una città che, almeno per un pomeriggio, ha scelto di non voltarsi dall’altra parte.

E quando la musica di Ivreatronic si alzerà, sarà chiaro che non è solo un suono: è un atto politico, un urlo che attraversa le strade e le coscienze. La Palestina libera anche noi. E libera il mondo.

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