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Un ricordo di Pier Maria Furlan e dei suoi due illustri genitori: Lina Furlan e Dino Segre Pitigrilli

Doriano Felletti di Doriano Felletti
6 Marzo 2022
in BLOG, Terza Pagina, Torino
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Un ricordo di Pier Maria Furlan e dei suoi due illustri genitori: Lina Furlan e Dino Segre Pitigrilli
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Sfogliando La Repubblica di appena qualche settimana fa, una notizia ha destato la mia attenzione: «Addio a Pier Maria Furlan, padre della nuova psichiatria: aveva 78 anni».
Prima di ogni altra considerazione, è opportuno tracciare una breve biografia di Pier Maria Furlan.
Nasce a Torino il 15 aprile 1943, si laurea nel 1967 in Medicina e chirurgia presso l’Università degli Studi di Torino, specializzandosi in Neurologia e Psichiatria.
È stato docente di Psichiatria all’Università di Torino, Direttore del Dipartimento di salute mentale presso l’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, Vicerettore e poi, dal 2008, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga dell’Università degli Studi di Torino.
Al suo attivo ci sono oltre 300 pubblicazioni scientifiche e libri e attività di docenza in diverse università, italiane ed estere.
Al di là del ricco curriculum scientifico, Pier Maria Furlan ha vissuto da protagonista il periodo della riforma Basaglia, la Legge 180/1978, che ha portato alla chiusura dei manicomi e ha istituito i servizi pubblici di igiene mentale.
Furlan ha raccontato la questione psichiatrica prima della Legge Basaglia in un libro, Sbatti il matto in prima pagina, edito da Donzelli nel 2006, dove descrive gli eventi del decennio che va dal 1968 al 1978 che hanno portato alla chiusura dei manicomi. Il ruolo dei quotidiani è stato fondamentale: le inchieste, le interviste, gli approfondimenti hanno contribuito ad alfabetizzare e a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli orrori nascosti dentro le mura degli ospedali psichiatrici dove anziani, poveri, omosessuali e bambini disabili venivano malamente e di rado curati, spesso segregati e maltrattati.
Tra il 1996 e il 2000, Furlan è incaricato dalla regione Piemonte per la chiusura degli ex ospedali psichiatrici di Collegno e Grugliasco, completato nel giugno 1999. Per tale compito, oltre a reinserire e assistere pazienti presso la famiglia di origine, ha reperito ex novo alloggi, comunità residenziali e comunità protette con massimo venti posti letto e centri diurni. Di questa esperienza e del suo metodo di rottura rispetto agli abituali schemi di cura dei pazienti psichiatrici parlava in una intervista a Repubblica del 6 marzo 2021: «Gli psichiatri non avevano idea di cosa significasse lavorare nella società, porta a porta. Il manicomio era una rete sociale che escludeva il diverso. E lo psichiatra si è trovato in mezzo completamente sguarnito».
La figura di assoluto rilievo di Pier Maria Furlan non oscura la fama dei suoi illustri genitori. Nel 2006 sceglie di aggiungere al proprio cognome anche Pitigrilli. Sotto questo pseudonimo si nasconde infatti il padre di Pier Maria, Dino Segre. Nasce a Torino il 9 maggio 1893 da padre di famiglia ebraica, originario di Saluzzo ed ex-ufficiale dell’esercito, e da madre cattolica. Completati gli studi superiori si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino. Consegue la laurea nel 1916, pur non manifestando interesse di svolgere alcuna professione in campo forense.
Nel 1914 conosce Amalia Guglielminetti, allora già celebre poetessa, scrittrice e animatrice dei salotti letterari torinesi. A quel tempo era nota anche per la relazione, già terminata ma durata per alcuni anni, con il poeta alladiese Guido Gozzano. Grazie al suo sostegno, riesce ad entrare negli ambienti letterari cittadini. Nel 1918, Pitigrilli, appena più che ventenne, e la Guglielminetti, di dodici anni più grande, dopo quattro anni di frequentazione, iniziano una relazione che sarebbe durata fino al 1924.
Pitigrilli inizia a praticare la professione di giornalista pubblicista per alcuni quotidiani e periodici. I suoi articoli, dal taglio leggero e irriverente, ricchi di metafore allusive, di giochi di parole e di sottintesi gli procurano immediata notorietà. Ottiene un contratto con il quotidiano L’epoca che lo invia a Trieste come corrispondente dal confine orientale italiano. Nel 1920, mentre si trova a Parigi come corrispondente dall’estero, invia quattro sue novelle ad un periodico letterario, ottenendo un inatteso successo. Il taglio delle novelle è licenzioso e spregiudicato, intriso di erotismo al limite di quella che al tempo poteva essere definita pornografia, in linea con l’immagine che Pitigrilli si era costruito. L’editore Sonzogno gli propone di pubblicare quelle novelle, insieme ad altre, su di un volume dal titolo Mammiferi di lusso. Inizia l’ascesa letteraria di Pitigrilli con un buon riscontro nelle vendite.
Egli abbandona temporaneamente il giornalismo e si lancia nella scrittura del suo primo romanzo, Cocaina, che vede la luce nel 1921. Anche in questo caso, l’autore è confortato da un buon successo nelle vendite. Il libro alimenta anche il dibattito politico, a causa della presenza della tematica della droga: il quotidiano Il popolo d’Italia, diretto da Mussolini, lo attacca per i toni licenziosi e disfattisti, mentre Ordine Nuovo, diretto da Gramsci, lo difende.
Nel giro di pochissimi anni, scrive La cintura di castità nel 1921, Oltraggio al pudore nel 1922, La vergine a 18 carati nel 1924. Pubblica inoltre L’esperimento di Pott nel 1929, I vegetariani dell’amore nel 1931 e Dolicocefala bionda nel 1936. Sono numerose, oltre che le vendite, le traduzioni nelle principali lingue, che gli garantiscono elevati introiti in termini di diritti d’autore.
Pitigrilli è famoso anche per le pubblicazioni periodiche da lui ideate. Nel 1924 fonda la rivista Le grandi firme che raggiunge una larga diffusione, grazie alla collaborazione di eminenti scrittori del periodo, tra cui Pirandello, Bontempelli, Alvaro, Campanile, Deledda, Panzini e la dirige fino al 1937. Nel 1925 fonda la rivista Il dramma, mensile dedicato al teatro, e nel 1926 lancia il periodico Le grandi novelle. Altra sua creazione è Crimen, primo periodico italiano interamente dedicato alla giallistica.
Nel frattempo, nell’agosto del 1924 termina la storia con Amalia Guglielminetti, non senza fastidiosi strascichi. Nel 1926 viene processato ed assolto dall’accusa di oltraggio al pudore a causa dei temi scabrosi contenuti nelle sue opere. Nel gennaio 1928 viene arrestato con l’accusa di «attività antifascista e offese al Duce» e rimane in carcere per quindici giorni. Viene scagionato in quanto vittima di una macchinazione ordita da Amalia Guglielminetti, da Anselmo Jona e da Pietro Brandimarte, console della legione della Milizia fascista di Torino, che vengono incriminati e processati per i reati di calunnia e falso in quanto gli scritti contenenti gli attacchi al Duce erano in realtà dei falsi da loro redatti. Brandimarte è condannato a 10 mesi e 17 giorni di reclusione e sollevato dall’incarico di console da Benito Mussolini. La Guglielminetti è dichiarata colpevole, ma seminferma mentalmente e condannata a quattro mesi; in seguito, la Corte d’Appello riduce la pena della poetessa a due mesi e quella del gerarca a cinque mesi. La Guglielminetti è poi assolta definitivamente per aver agito in totale infermità mentale transitoria all’epoca dei fatti.
Nel 1931 contrae matrimonio a Parigi con Deborah Senigallia, figlia di industriali torinesi nel campo tessile; nel 1932 nasce il loro figlio Gianni, diventato in seguito scrittore in lingua francese. I due non vissero mai insieme: già nel 1934 scrive alla moglie da Parigi di ritenersi libero dal vincolo del matrimonio. La separazione legale giunge solo molti anni più tardi, nel 1955.
Pitigrilli, inviso agli ambienti fascisti torinesi per il carattere blasfemo delle sue opere e per la condotta di vita dissennata, ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti del regime. La vicenda del suo arresto e la condanna di Brandimarte lo fanno apparire come un blando oppositore del regime e questo lo fa avvicinare al mondo dell’antifascismo torinese, in particolare con i militanti di Giustizia e libertà. Conosce persone, organizzazione, metodi di lotta, segreti.
Alla fine di marzo del 1934, alla frontiera con la Svizzera, sono arrestati dall’OVRA Sion Segre Amar, studente universitario e cugino di Pitigrilli, e Mario Levi, dirigente della Olivetti, in missione segreta finalizzata a introdurre sul territorio nazionale stampa clandestina di Giustizia e Libertà. Nei giorni immediatamente successivi, durante una retata sono arrestati Leone Ginzburg, Giuseppe Levi e Gino Levi Martinoli (fratello e padre di Mario), Carlo Levi e suo fratello Riccardo, Barbara Allason, Carlo Mussa Ivaldi, Giovanni Guaita, Giuliana Segre, Marco Segre, Attilio Segre, Cesare Colombo, Leo Levi, Camillo Pasquali, tutti esponenti dell’antifascismo torinese. Il 15 maggio 1935, in casa di Gioele Solari, sono arrestati, tra gli altri, Vittorio Foa, Michele Giua, Carlo Levi, Massimo Mila, Cesare Pavese, Augusto Monti, Piero Martinetti e Giulio Einaudi. Foa e Giua, durante gli interrogatori, dichiarano di sospettare di Pitigrilli quale latore delle informazioni alla polizia politica fascista, reclutato e stipendiato dall’OVRA e infiltrato nei vertici dell’organizzazione torinese per carpire nomi e prove.
Anche durante i soggiorni a Parigi prende contatti con gli esuli antifascisti esuli e fornisce elementi utili per colpire Carlo e Nello Rosselli, poi assassinati dai cagoulard francesi.
Nel 1938 termina la sua collaborazione con l’OVRA. Qualche tempo dopo, per effetto dell’attività della Commissione per la bonifica libraria, le sue opere sono oggetto di un provvedimento di messa al bando e ritiro dal mercato. Nel 1940, anche per effetto delle leggi razziali, viene inviato al soggiorno obbligato ad Uscio, sulla riviera Ligure. In seguito, si rivolge al Tribunale della razza per essere riconosciuto quale ariano. Nel 1943, dopo il 25 luglio, scrive sotto pseudonimo alcuni articoli molto duri contro il Duce ed il regime; dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana ripara in Svizzera, anche per sfuggire alle persecuzioni naziste, vista la sua origine ebraica.
Finita la guerra, diverse testimonianze degli antifascisti torinesi lo indicano come collaborazionista dell’OVRA e responsabile delle delazioni che avevano condotto agli arresti degli esponenti di Giustizia e Libertà. L’elenco nominativo dei confidenti dell’OVRA, pubblicato a cura del Ministero degli Interni sulla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 2 luglio 1946 ai sensi del Regio Decreto Legislativo 25 maggio 1946, n. 424, riporta alla pagina 15:

SEGRE Dino (Pitigrilli Pindaro – Pilli e Pericle) fu Davide e fu Elena Lucia, nato a Torino il 9-5-1893, domiciliato nel 1940 a Torino Corso Peschiera n. 28, scrittore pubblicista.

Pitigrilli presenta il ricorso, ma il 13 ottobre 1947 la Commissione incaricata decreta che la colpevolezza di Segre è “irrefutabilmente” dimostrata. Pur non essendoci prova di responsabilità concrete, l’atto sancisce in modo ufficiale i rapporti di Pitigrilli con l’organizzazione segreta fascista.
Durante gli anni 40, Pitigrilli avvia un percorso di conversione al Cattolicesimo e, di conseguenza, un ripensamento sulla propria attività letteraria. Nel 1948 pubblica tre libri, La piscina di Siloe, Mosè e il cavalier Levi, La meravigliosa avventura nei quali ostenta la nuova fede cattolica e affronta le motivazioni della sua conversione. Sempre a seguito della conversione, Pitigrilli rinnega le sue prime opere, ritirando dal commercio le copie residue e vietandone la ristampa.
Nel 1948 decide di trasferirsi in Argentina, dove resta per dieci anni e torna ad occuparsi di giornalismo collaborando a un giornale della sera, La Razon. Frequenta la famiglia Peron, allora alla guida del paese, e forse contribuisce alla scrittura del libro di Evita Peron La ragione della mia vita.
Nel 1958 si stabilisce a Parigi e inizia nuovamente, anche se saltuariamente, a soggiornare a Torino dove è rimasta la famiglia; proprio nella sua casa torinese la morte lo coglie l’8 maggio 1975.
Pier Maria Furlan è il figlio di Pitigrilli e di Lina Furlan, la donna che egli sposa con rito cattolico nel 1940, nato nel 1943; il bambino assume il cognome della madre al fine di tutelarlo dalle persecuzioni razziali.
È il momento di alcune note biografiche riguardanti Lina Furlan. Non è semplice trovare le note biografiche che la riguardano, ma ricostruendo le informazioni che provengono da fonti diverse, si evince che nasce a Venezia l’8 settembre 1903. Si laurea in Giurisprudenza nel 1926 e, nel 1930, si iscrive all’Ordine degli Avvocati, solo undici anni dopo l’approvazione in Parlamento della Legge 1176/1919 che consente l’iscrizione all’albo alle donne. Intraprende la carriera di avvocato penalista, in un ambiente ancora fortemente vocato al maschile.
In una intervista rilasciata per Almanacco piemontese 1995 edito da Viglongo racconta: «Il mio esordio in Corte d’ Assise avvenne nel 1930. Sapevo che intorno a me c’ erano solo diffidenza, stupore, incredulità. Dovevo difendere una infanticida per la quale erano stati chiesti 25 anni. Fu assolta». Una carriera brillante, durata oltre cinquant’anni e vocata alla difesa delle donne con uno stile inconfondibile. Scrive Bruno Segre su La stampa del 29 dicembre 2016: «La seconda moglie, una delle prime donne patrocinanti in Tribunale, difendeva al dibattimento i suoi clienti con una foga inaudita. Assistetti a un suo processo negli Anni 40: la voce altissima, l’esaltazione e la gesticolazione mi indussero a paragonarla a Maria Melato appassionata interprete della dannunziana Figlia di Iorio». Proprio lo stile di difesa intenso e un’oratoria quasi teatrale caratterizzavano le sue arringhe.
Pitigrilli e Lina Furlan si incontrano nel 1938. Su Stampa Sera del 2 agosto 1978, racconta Lina: «Venne da me come cliente per salvare il figlio dalle leggi razziali contro gli ebrei, emanate il 6 ottobre 1938. […] Così conobbi Piti e lo sposai per procura, presso il Vescovado di Lugano il 26 luglio 1940». Ma un primo contatto fra i due è precedente, quando Pitigrilli le scrive una lettera per chiederle un’intervista da pubblicare su Le Grandi Firme. Su Pitigrilli parla di Pitigrilli, Milano, Sonzogno, 1949, egli scrive: «Questa donna esercita una professione di uomo. È un’avvocatessa. L’avvocatessa di cui parlo ha strappato non alla giustizia, ma all’ingiustizia, delle prede, per mezzo delle squisite risorse della sua mentalità femminile. Si chiama Lina Furlan ed è italiana per la sua nascita, per le sue tradizioni, per la sua sensibilità». Lina, di fede cattolica e con idee antisemite, ha certamente esercitato una grande influenza nella conversione al Cattolicesimo di Segre.
Nonostante le difficoltà familiari successive alla fine del conflitto mondiale, Lina Furlan riprende la propria attività professionale al quinto piano di via Principe Amedeo a Torino, mai oscurata dal marito di cui ha sempre sostenuto l’innocenza e padrona della sua attività forense, che svolge fino agli ultimi anni.
Scompare a Torino nell’agosto del 2000, a quasi 97 anni d’età.
Dino Segre, Lina Furlan, Pier Maria Segre: tre personaggi che hanno lasciato il segno nei rispettivi settori di interesse.
Questo articolo non ha l’obiettivo di restituire verità a chi lo legga: alla domanda «Pitigrilli è stato davvero un collaborazionista dell’OVRA?» oggi non vi è alcuna risposta possibile. Restano i fatti: la pubblicazione sugli elenchi dell’OVRA e l’esito del ricorso respinto che segnano l’ufficialità della sua appartenenza ai ranghi della polizia fascista. Restano tutta una serie di affermazioni ed ipotesi che si sono accavallate negli anni. Restano le testimonianze degli antifascisti torinesi. Resta il comunicato dell’ottobre del 1943 di Radio Bari che lo bolla come delatore. Restano i rapporti di Pitigrilli, firmati «informatore 373», inviati all’OVRA durante gli anni ’30 e conservati presso l’Archivio centrale dello Stato. Restano le parole di Anna e Bettina, figlie di Vittorio Foa che confermano, riportando le parole del padre, che i sospetti su Pitigrilli erano fondati. D’altra parte, resta la difesa, strenua ed appassionata, del figlio Pier Maria, espressa anche attraverso una intervista rilasciata a La Stampa del 23 dicembre 2016, che esplicita la ferma intenzione di difendere l’onore e la rispettabilità del proprio illustre genitore, ma anche un tentativo di recuperarlo dall’oblio.

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