Aveva sul pc una versione ‘craccata’ del programma di scrittura Word: è bastato questo, a un imprenditore del ramo della pubblicità, per finire sotto processo a Torino. La causa è stata sospesa con la “messa alla prova dell’imputato”: l’uomo ha prestato servizio quattro mesi in una struttura museale della città per dimostrare di essersi ravveduto e chiudere così una vicenda che, per un paio d’anni, ha impegnato forze dell’ordine, procura, tribunale, cancellerie, enti convenzionati e staff di educatori e psicologi.
Il problema era sorto quando l’imprenditore lasciò lo studio dove lavorava per mettersi in proprio: l’ex socio, infatti, lo denunciò sostenendo che si era impadronito di bozzetti e vari documenti. Il suo legale, l’avvocato Fabio Ghiberti, dimostrò che il materiale era di proprietà dell’imprenditore e il pm Cesare Parodi archiviò le accuse di furto e rivelazione di segreti. La polizia municipale, però, esaminando i computer trovò ‘Word’. Alla richiesta di mostrare la licenza, l’imprenditore ne presentò una che però non combaciava esattamente con i tempi. Da qui l’accusa di violazione della legge del 1941 sui diritti d’autore, punita con il carcere fino a tre anni. A coordinare il processo è stata la giudice Francesca Christillin.