Malati, costretti alla fame e spesso arruolati già a 8 anni: questo oggi il destino di tantissimi bambini in Siria. A dirlo è un rapporto di Save the Children dal titolo ‘Infanzia sotto assedio’, secondo il quale sarebbero circa 250 mila i bambini che vivono nelle città assediate. Non a caso, viene ricordato, il 46,6% delle vittime in queste zone sarebbero proprio giovanissimi con meno di 14 anni.
Nel solo 2015, ricorda il rapporto, il 22% dei bombardamenti aerei è avvenuto su aree assediate, dove si registra un aumento nell’uso della droga da parte dei giovanissimi, nonché degli abusi sessuali su adolescenti e dei matrimoni precoci.
“I bambini stanno morendo per mancanza di cibo, di medicine o per cause assurde come l’ingestione accidentale di veleni mentre scavano alla ricerca di qualcosa da mangiare”, spiega Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. “I bambini vivono in vere e proprie prigioni a cielo aperto – aggiunge – dove i cecchini sparano a chiunque tenti di scappare. Sono tagliati fuori dal mondo, insieme alle loro famiglie e circondati da gruppi armati che utilizzano l’assedio ai civili come arma di guerra. Questi bambini – sottolinea Neri – stanno pagando il prezzo dell’immobilismo del mondo”.
Con il passare dei giorni si fa sempre più drammatica la situazione dei 250mila bambini che vivono nelle città assediate della Siria. In queste aree il 47% delle vittime sono ragazzi con meno di 14 anni, gravemente malnutriti perché meno dell’1% della popolazione riesce a ricevere aiuti alimentari, o gravemente malati perché solo il 3% è in grado di usufruire di assistenza sanitaria. A chiarire la situazione, poi, è il dato sui bombardamenti: nel 2015 nel 22% dei casi hanno interessato aree assediate. Queste alcune delle notizie, inquietanti e drammatiche, contenute nel nuovo rapporto di Save the Children, non a caso intitolato ‘Infanzia sotto assedio’.
Secondo lo studio sono tantissimi i bambini che vanno a ingrossare le truppe, arruolati giovanissimi, anche a 8 anni, almeno tra coloro che non sono riusciti a fuggire dalla Siria, Paese che dall’inizio della guerra ha contato 6,6 milioni di persone sfollate nelle aree interne e 4,7 milioni fuggite nei Paesi confinanti e in Europa.
“Le immagini del bambino che muore di fame a Madaya nel gennaio scorso hanno scosso il mondo, ma lontano dalle macchine fotografiche ci sono molte comunità che stanno vivendo la stessa situazione e la stessa disperazione”, afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children. “I bambini stanno morendo per mancanza di cibo, di medicine o per cause assurde – spiega – come l’ingestione accidentale di veleni mentre scavano alla ricerca di qualcosa da mangiare. E a pochi chilometri da loro ci sono magazzini colmi di aiuti. I bambini vivono in vere e proprie prigioni a cielo aperto, dove i cecchini sparano a chiunque tenti di scappare. Sono tagliati fuori dal mondo, insieme alle loro famiglie e circondati da gruppi armati che utilizzano l’assedio ai civili come arma di guerra. Questi bambini stanno pagando il prezzo dell’immobilismo del mondo”. In Siria, informa ancora il rapporto di Save the Children, molti medici sono stati uccisi, arrestati o risultano essere sfollati, anche se sono numerosi quelli che hanno deciso di restare nel Paese. Ma in generale nel 2015 meno del 10% delle richieste di accesso alle aree assediate da parte delle Nazioni Unite ha avuto esito positivo e alcune aree ricevono aiuti solo una volta l’anno, altre anche meno. La popolazione di Darayya, ad esempio, non riceve soccorsi da ottobre 2012. I gruppi armati approfittano della disperazione dei bambini e li reclutano per andare a combattere sulla linea del fronte, perché per loro è l’unico modo di avere garantito un pasto al giorno. E alcuni pagano fino a 150 dollari al mese, altri solo 50 dollari. “Tutto questo è troppo. Dopo quasi 5 anni di conflitto in Siria – afferma Neri – è necessario porre fine agli assedi. Per questo chiediamo che venga consentito immediatamente l’accesso libero e permanente agli aiuti umanitari e che cessino gli attacchi su scuole, ospedali e infrastrutture civili vitali”. Save the Children chiede poi ai leader mondiali che la distribuzione di aiuti umanitari non sia legata agli accordi di pace e non venga utilizzata come merce di scambio nei negoziati politici.