Ormai è legge. Il 6 settembre scadrà l’immunità penale stabilita nel 2015 per chi gestisce l’ex Ilva ora in mano ad ArcelorMittal. Con il decreto Crescita votato dal Senato, l’art.46 che pone fine all’esimente, entra in vigore e fa cadere il salvacondotto. La disposizione terrorizza i manager del colosso mondiale dell’acciaio, tanto da spingerli a minacciare la chiusura di Taranto se non godranno di quella protezione speciale. Ieri – quando si è capito che nessun emendamento amico avrebbe fatto cambiare l’art. 46 – Geert Van Poelvoorde, Ad e vicepresidente di ArcelorMittal Europa, ha detto chiaro che allo scadere del 6 settembre, in mancanza di ripensamenti, chiuderà il siderurgico. “Un ricatto” secondo il vicepremier Luigi Di Maio che incontrerà l’azienda il 4 luglio e quindi i sindacati il 9 luglio aprendo un nuovo tavolo di trattativa. Linea condivisa anche dal governatore della Puglia Michele Emilano pronto ad azioni comuni con il governo per “respingere questo ricatto orribile e inaccettabile” ricordando che quella norma del 2015 – contestatissima – “sarebbe saltata davanti alla corte costituzionale”. Dentro e fuori il Governo la polemica politica si scalda più di un altoforno, con Salvini che non può chiedere a Di Maio di rimangiarsi una norma diventata oggi legge dello Stato, ma vuole difendere l’acciaio di Taranto necessario alle tante piccole e medie imprese della manifattura italiana. “Ho chiesto a Di Maio di avere ampie garanzie su sul fatto che non si stia mettendo a rischio 15 mila posti di lavoro (in realtà secondo l’accordo del settembre scorso sono 10.380 ndr.)” dice Salvini dopo essersi schierano ieri dalla parte di Mittal. Di Maio replica accusandolo di “interferenza su una trattativa in corso” e ricordando che le vertenze sindacali sono “una cosa seria da non risolvere con un tweet”. In mezzo ci sono – ancora – i circa 10.380 dipendenti dell’ex Ilva e la decisione di ArcelorMittal, presa il 6 maggio, di ridurre la sua produzione di acciaio in Europa a causa sia dei dazi di Trump sull’automotive sia dell’invasione di acciaio extraeuropeo. Risultato, la società il 5 giugno a sorpresa ha deciso di mettere in cassa integrazione a Taranto 1.395 dipendenti (numero massimo al giorno) per 13 settimane, sui circa 8.200 attivi. I sindacati, gridano al mancato rispetto dell’accordo del settembre scorso (con il quale ArcelorMittal entrò in possesso dei siti dell’Ilva) arrabbiati con l’azienda e con il Governo. “Le multinazionali scorrazzano nel nostro Paese, fanno quello che vogliono perché mancano le regole. Il Governo gli ha dato tutte le scuse plausibili per fare in modo che ci creino problemi” attacca il segretario della Uil Carmelo. Il segretario della Cgil Landini chiede ad ArcelorMittal di “smetterla con i ricatti” e al Governo di “fare una legge collegata al piano di investimenti” tradotto la Cgil spera nell’ennesimo decreto Ilva che contenga il ripristino dell’immunità penale sulla quale ArcelorMittal contava quando firmò l’accordo. Annamaria Furlan, invita a ritrovare “il senso di responsabilità”.
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