Una comoda, rassicurante, banale normalità. Annamaria Franzoni la sta lentamente ricostruendo, dopo anni sotto i riflettori, alcuni dei quali trascorsi in galera. Da due settimane è tornata a casa, nel microscopico paesino di Ripoli, sull’Appennino bolognese dove finirà di scontare la pena agli arresti domiciliari. Ma dove può trascorrere le giornate con i figli Davide e Gioele, con il marito Stefano, circondata da una comunità piccola e affettuosa che non la considera quel personaggio mediatico che ha fatto dividere l’Italia fra colpevolisti e innocentisti.
Annamaria Franzoni ha il permesso del tribunale di uscire alcune ore al giorno. Non sempre lo fa: ma spesso ne approfitta per passeggiare per il paese, dal quale a volte si allontana, pare anche per seguire quelle sedute di psicoterapia che le sono state prescritte. L’importante, per lei, è riappropriarsi delle gioie familiari, quelle a cui ha dovuto rinunciare negli anni di detenzione alla Dozza, come quella di qualche giorno fa, quando ha festeggiato il figlio Davide che ha appena superato l’esame di maturità.
Nel concederle la detenzione domiciliare, il tribunale può anche aver tenuto conto del contesto in cui Annamaria Franzoni l’avrebbe scontata: una città per una come lei può avere occhi indifferenti, indiscreti o spietati. A Ripoli, dove tutti sono pronti a scommettere sulla sua innocenza, è semplicemente una ragazza del posto, che se ne è andata per un po’, come fanno in tanti, per sfuggire alla noia di un luogo bellissimo e privo di emozioni, e poi è tornata.
La ricerca della normalità per Annamaria Franzoni, la ‘risocializzazione’ l’ha definita il tribunale, non passa solo per un nucleo familiare “coeso”, ma anche per la ripetitiva vita di paese, che sembra uguale da secoli. Nell’unica bottega del borgo, che è anche un po’ bar e un po’ salotto, ogni tanto arriva per comprare un pacco di pasta e scambiare due chiacchiere: sulla vecchietta del paese ricoverata in ospedale per un acciacco dell’età sulla cui salute tutti s’informano, su quel maledetto lampione fulminato che il Comune non si decide ancora a cambiare, su questa estate, che sarà anche estate sul calendario, ma sembra novembre. Sono lontane le telecamere, i riflettori, gli avvocati, le aule di giustizia e le sbarre della galera.
Annamaria Franzoni porta da mangiare a Eco, il cagnone che dorme sulla porta di casa, prepara torte per i figli, gareggia con le altre donne del paese a chi fa crescere i gerani più belli. Trascorre quasi tutto il tempo in casa, ma sa che quando ha la possibilità e la voglia di fare due passi per respirare l’aria del suo Appennino incontrerà sempre sguardi sorridenti e voci amiche.
Annamaria Franzoni non è una donna libera: ha un residuo di pena di dieci anni derivante dalla condanna per l’omicidio del figlio Samuele. E’ però libera di stare con la famiglia. Ed è libera dagli sguardi ostili. Forse le uniche due libertà alle quali veramente aspirava da quella mattina di gennaio di dodici anni fa.