Sebbene lo stato di emergenza sia terminato più di un mese fa, per il “personale sanitario, operatori d’interesse sanitario, personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività nelle strutture e attività sanitarie e sociosanitarie, lavoratori impiegati in strutture residenziali e socioassistenziali” permane l’obbligo di green pass “rafforzato”, che si ottiene sottoponendosi alla vaccinazione anti-Covid. Secondo il Governo Draghi (e il Parlamento), infatti, questi lavoratori hanno l’obbligo di vaccinarsi perché quotidianamente a contatto con persone “fragili”: “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”.
In forza di questa norma l’Azienda Sanitaria 6 di Padova aveva sospeso dal lavoro (e dallo stipendio) un’operatrice socio sanitaria che non si era vaccinata. La oss ha presentato ricorso al competente Tribunale del lavoro.
Il 28 aprile scorso è stata pubblicata la sentenza. Il giudice, dopo aver premesso che «è evidentemente del tutto legittima la preoccupazione del legislatore di tutelare la salute delle persone “fragili” (nella fattispecie gli ospiti della casa di riposo), adottando le cautele necessarie al fine di evitarne il contagio da parte di coloro che lavorano nelle strutture», è andato a vedere i dati del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità: è vero che la vaccinazione esclude di contrarre il virus e di contagiare le persone con cui si viene in contatto?
No, non è vero. «A ben osservare – scrive nella sentenza – l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma». E’ infatti «notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale può comunque contrarre il virus e contagiare gli altri. Può quindi accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano)». E prosegue: «Lo stesso Ministero della Salute dichiara tassativamente falsa l’affermazione secondo cui “Se ho fatto il vaccino contro Sars-Cov2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri”. E’ quindi assodato che il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino non garantisce che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui ivi viene a contatto».
Che fare allora? «Sempre come dimostra la comune esperienza – continua il giudice – il metodo attualmente più sicuro per impedire che un lavoratore contagi le altre persone presenti sul luogo di lavoro» è quello che fornisce «la ragionevole certezza che egli non sia infetto: ragionevole certezza che, come visto, non può essere data dalla vaccinazione, bensì dalla sottoposizione periodica del lavoratore al “tampone”». Infatti «la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici, e tale è il motivo per cui deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone è senz’altro relativa, ma quella data dal vaccino è pari a zero».
Il tribunale ha quindi accolto il ricorso della oss e ha ordinato all’Azienda Sanitaria padovana di farle «riprendere immediatamente il lavoro», a condizione che si sottoponga a tampone molecolare ogni 72 ore o a tampone antigenico ogni 48. (u.l.)