Il Parco Nazionale Gran Paradiso è un’area protetta istituita dallo Stato al fine di conservare per le generazioni presenti e future gli ecosistemi di rilievo internazionale e nazionale delle valli attorno al massiccio del Gran Paradiso.
Le finalità dell’Ente sono quindi la gestione e la tutela dell’area protetta, il mantenimento della biodiversità di questo territorio e del suo paesaggio, la ricerca scientifica, l’educazione ambientale, lo sviluppo e la promozione di un turismo sostenibile.
Il Parco nazionale del Gran Paradiso (in francese, Parc national du Grand-Paradis), istituito il 3 Dicembre del 1922, è il secondo più antico Parco nazionale italiano dopo il Parco nazionale d’Abruzzo. Si trova a cavallo delle regioni Valle d’Aosta e Piemonte ed è gestito dall’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, con sede a Torino. Dal lato francese confina con il Parco nazionale della Vanoise. Si estende per una superficie di 71.043,79 ettari, su un terreno prevalentemente montuoso.
LA STORIA
La storia del Gran Paradiso è strettamente intrecciata con la salvaguardia del suo animale simbolo: lo stambecco (Capra ibex). Questo ungulato, un tempo largamente diffuso a quote elevate, oltre il limite del bosco, su tutto l’arco alpino è stato oggetto di caccia indiscriminata per secoli. I motivi per cui lo stambecco era una preda così ambita dai cacciatori erano i più disparati: la succulenza delle sue carni, alcune parti del suo corpo erano considerate medicinali, l’imponenza delle sue corna ricercate come trofeo e persino il potere afrodisiaco attribuito ad un suo ossicino (la croce del cuore) spesso utilizzato come talismano. All’inizio del XIX secolo si riteneva che questo animale fosse ormai estinto in tutta Europa finché l’ispettore forestale valdostano Delapierre scoprì che negli impervi e scoscesi valloni che discendono dal massiccio del Gran Paradiso ne sopravviveva una colonia di circa cento esemplari.
Il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice emanava le Regie Patenti con le quali ordinava:«Rimane fin d’ora proibita in qualsivoglia parte de’ regni domini la caccia degli stambecchi». Questo decreto, che salvò lo stambecco dall’estinzione, non fu ispirato da valori di protezionismo ambientale, non contemplati nella mentalità dell’epoca, ma da mere speculazioni venatorie. La rarità di questi esemplari ne rendeva la caccia un lusso che il sovrano concedeva solo a sé stesso.
Nel 1850 il giovane re Vittorio Emanuele II, incuriosito dai racconti del fratello Fernando, che durante una visita alla miniera di Cogne era stato a caccia, volle percorrere di persona le aspre valli valdostane. Partì dalla valle di Champorcher, valicò, a cavallo, l’omonima finestra a quota 2828 m e raggiunse Cogne; lungo questo tragitto uccise sei camosci ed uno stambecco. Il re rimase colpito dalla abbondanza di fauna e decise di costituire in quelle valli una Riserva reale di caccia. Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di Casa Savoiariuscissero a stipulare centinaia di contratti in cui i valligiani e i comuni cedevano al sovrano l’utilizzo esclusivo dei diritti venatori (relativi alla caccia al camoscio ed ai volatili, poiché la caccia allo stambecco era vietata ai valligiani già da un trentennio) ed in alcuni casi persino dei diritti di pesca e di pascolo (vale a dire che i montanari non potevano più portare ovini, bovini e caprini sui pascoli d’alta quota riservati d’ora in poi alla selvaggina).
Nasceva così ufficialmente, nel 1856, la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso il cui territorio era più ampio dell’attuale parco nazionale; infatti comprendeva anche alcuni comuni valdostani(Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche, Brissogne) che in seguito non furono inseriti entro i confini dell’area protetta. I valligiani, dopo i primi malumori, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli fino ad allora quasi al di fuori del mondo avrebbe portato benessere per la popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe fatto “trottare i quattrini sui sentieri del Gran Paradiso“.
Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l’opera più importante che cambiò il volto delle valli aostane e canavesane fu la fittissima rete di mulattiere selciate fatte costruire per collegare i paesi con le case di caccia e quest’ultime tra di loro (coprivano una distanza di oltre 300 km). Queste strade furono progettate per permettere al re ed al suo seguito di spostarsi comodamente a cavallo all’interno della riserva. La maggior parte di esse è ancor oggi percorribile. Superano dei ripidi versanti con innumerevoli, ampissimi tornanti mantenendo sempre una lieve e costante pendenza. Si snodano in buona parte oltre i duemila metri ed in taluni casi superano i tremila (Colle del Lauson 3296 m e Colle della Porta 3002 m). I punti più impervi sono stati superati scavando il tracciato nella roccia. La carreggiata è lastricata di pietre, sostenuta da muri a secco costruiti con notevole perizia e presenta una larghezza variabile da un metro ad un metro e mezzo.
Il tratto meglio conservato si trova in Valle Orco; dal Colle del Nivolet, dopo un primo tratto a mezzacosta, la mulattiera reale scavalca i colli della Terra e della Porta, tocca la casa di caccia del Gran Piano (recuperata di recente come rifugio) per poi scendere al paese di Noasca
Le battute di caccia del re
Re Vittorio si recava nella riserva del Gran Paradiso di solito nel mese di agosto e vi si fermava da due a quattro settimane. I giornali e le pubblicazioni dell’epoca erano esaltate per il carattere bonario del re, che conversa e discute con grande affabilità, in lingua piemontese, con la popolazione locale e lo descrivono come un baldo cavaliere ed un fucile infallibile. In realtà le campagne di caccia erano organizzate in modo che il re potesse fare il tiro a segno sulle prede stando comodamente ad aspettare in una delle poste di avvistamento costruite lungo i sentieri.
Il seguito del re era composto da circa 250 uomini, ingaggiati tra gli abitanti delle valli, che svolgevano le mansioni di battitori e portatori. Per questi ultimi la caccia cominciava già nella notte. Si recavano nei luoghi frequentati dalla selvaggina, formavano un enorme cerchio attorno agli animali e poi con urla e spari li spaventavano in modo da spingerli verso la conca dove il re era in attesa dietro una vedetta semicircolare di pietre. Soltanto il sovrano poteva sparare agli ungulati; alle sue spalle stava il “grand veneur” che aveva l’ordine di dare il colpo di grazia agli esemplari feriti o sfuggiti al tiro del re. Oggetto della caccia erano i maschi di stambecco e camoscio adulti. Ne venivano abbattuti diverse decine al giorno. La scelta di risparmiare le femmine ed i cuccioli favorì l’aumento del numero degli ungulati e le cacce reali divennero di anno in anno più abbondanti.
Il giorno dopo la caccia il re ed il suo seguito si trasferivano alla successiva casa di caccia, la domenica era di riposo per i battitori e dai paesi qualche prete saliva a celebrare la messa all’aperto. Il percorso maggiormente battuto dal re durante i suoi tours del Gran Paradiso era il seguente: partiva da Champorcher, valicava l’omonima finestra (2828 m), scendeva a Cogne, raggiungeva Valsavarenche passando dal Colle Lauson (3296 m), saliva al Colle del Nivolet (2612 m) e da qui si inoltrava nel territorio piemontese passando sopra Ceresole Reale per poi scendere fino al paese di Noasca (1058 m) lungo il vallone di Ciamosseretto (come dice il nome ricchissimo di camosci). Le case di caccia maggiormente utilizzate furono quelle di Dondena(2186 m), del Lauson (2584 m, oggi rifugio Vittorio Sella), di Orvieille e del Gran Piano di Noasca (anche quest’ultima recentemente recuperata come rifugio).
Anche i successori di Re Vittorio, Umberto I e Vittorio Emanuele III, intrapresero lunghe campagne venatorie nella riserva. L’ultima caccia reale si svolse nel 1913.
Vittorio Emanuele III, più colto e meno affabile con i valligiani del nonno, cambiò orientamento e decise, nel 1919, di cedere allo Stato i territori del Gran Paradiso di sua proprietà con i relativi diritti, indicando come condizione che si prendesse in considerazione l’idea di istituire un parco nazionale per la protezione della flora e della fauna alpina.
Il parco nazionale
Il 3 dicembre 1922 re Vittorio Emanuele III, nei primi giorni del governo Mussolini, firmava il decreto legge che istituiva il Parco Nazionale del Gran Paradiso. L’articolo 1 del decreto sancisce che la finalità del parco è quella di “conservare la fauna e la flora e di preservare le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio“. L’articolo 4 sancisce che la gestione è affidata alla Commissione Reale del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Seguono una serie di norme: nel perimetro del parco sono vietate la caccia e la pesca, l’accesso con cani, armi ed ordigni che servano a tali scopi, la Commissione può sospendere e regolare il pascolo in alcune località. Il servizio di vigilanza venne affidato al Corpo Reale delle foreste che reintegrò tutti i guardaparco della vecchia riserva che ne fecero richiesta. Vennero poi gli anni bui del parco.

Il rifugio Federico Chabod in Valsavarenche nel cuore del parco
Nel 1933 fu abolita con regio decreto la Commissione Reale e la gestione del parco passò al ministero (fascista) per l’Agricoltura e Foreste. La sorveglianza, affidata alla Milizia Nazionale Forestale, divenne una sorta di servizio punitivo: venivano mandati dei malfattori o degli antagonistici politici, spesso non abituati alla rigidità della montagna, ad espiare le proprie pene (una specie di “piccola Siberia” italiana). La vigilanza perse d’efficacia, riprese il bracconaggio e a volte fu persino ordinato ai guardaparco di uccidere esemplari di stambecchi e di camosci della miglior specie per farne dono alle autorità militari. Durante la guerra, data l’assoluta scarsità di viveri, il bracconaggio si rese necessario anche per la popolazione locale.
Tornata la pace gli stambecchi erano ridotti ad appena 400 capi. Il 5 agosto 1947, con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, venne istituito l’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso con un consiglio di amministrazione composto da 13 elementi ed un corpo di guardie giurate alle sue dirette dipendenze. Fu nominato direttore soprintendente (lo sarà sino al 1969) il prof. Renzo Videsott che l’anno successivo, nel 1948, vi costituirà nel castello di Sarre la prima associazione ambientalista italiana, la Federazione Nazionale Pro Natura. Terminava così il lungo percorso di passaggio, durato quasi un trentennio, dalla riserva di caccia al parco nazionale.
Negli anni duemila il Parco nazionale è riconosciuto anche come sito di interesse comunitario (cod. SIC/ZPS: IT1201000) e fa parte dell’Important Bird Area “Gran Paradiso” (cod. IBA: IT008). Nel 2006 è stato insignito del Diploma europeo delle aree protette, rinnovato nel 2012 insieme al Parco nazionale della Vanoise.
Nel 2007, il Consiglio direttivo dell’Ente Parco, con deliberazione n. 16 del 27 luglio 2007, ha stabilito una modifica dei confini del parco, dandone comunicazione al Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare il 30 ottobre 2007. Per Decreto del Presidente della Repubblica 27 maggio 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2009, il parco è stato quindi riperimetrato, con una riduzione della superficie complessiva totale pari allo 0,07 per cento del territorio. Il Presidente della Repubblica ha comunque ritenuto positivo l’intervento perché la selezione delle aree periferiche da includere nel parco è stata compiuta in base alla loro valenza naturalistica, per esempio sono state cedute aree fortemente antropizzate e incluse aree maggiormente naturali, mentre per il nuovo perimetro del parco è stata data la priorità alla presenza dei confini naturali per permetterne una gestione più razionale del territorio:
« Sono state infatti cedute zone antropizzate, ad esempio villaggi, ottenendo in cambio aree di grande valore naturalistico (il bosco, le torbiere e le zone umide del vallone del Dres a Ceresole, i lariceti con latifoglie di Chevrère-Buillet di Introd, i boschi di larice con pino cembro e le brughiere del Vallone dell’Urtier a Cogne, il bosco di abete rosso di Sysoret, habitat ideale per Linnaea borealis a Aymavilles) o di significativo valore paesaggistico e culturale (i castagneti secolari di Noasca e Locana).
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Orografia
Il Gran Paradiso è l’unico massiccio montuoso culminante a oltre 4000 metri interamente in territorio italiano. Il parco è interessato da cinque valli principali: Val di Rhêmes, Val di Cogne, Valsavarenche, Valle dell’Orco e Val Soana; in particolare, ne delimitano approssimativamente i confini la Val di Cogne a nord, la Val di Rhêmes a ovest, Valle dell’Orco a sud e la Val Soana a est. La fascia che va dai tre ai 4000 m è ammantata di 59 candidi ghiacciai[13], più estesi sul lato valdostano, di cui almeno 29 sono costantemente monitorati dai guardaparco.
Si tratta di ghiacciai perenni ma relativamente recenti essendosi formati durante la “piccola glaciazione” del secolo XVII.
Dalla cima più alta (4061 m) parte la dorsale che divide Cogne da Valsavarenche la quale, scendendo verso Aosta, si impenna nelle due vette dell’Herbetet (3778 m) e della Grivola (3969 m). Sul versante piemontese si stagliano verso il cielo il Ciarforon (3642 m), la Tresenta (3609 m), la Becca di Monciair (3544 m). Queste montagne sono facilmente individuabili, da un occhio esperto, anche dalla pianura torinese. Il Ciarforon è una delle vette più singolari delle Alpi: sul versante aostano è ricoperto da un’enorme calotta ghiacciata; dal Piemonte appare come uno spoglio monte di forma trapezoidale.
La Torre del Gran San Pietro (3692 m) e i Becchi della Tribolazione (3360 circa) si trovano nell’alto vallone di Piantonetto; il punto di osservazione privilegiato è il rifugio Pontese al Pian delle Muande di Teleccio.
Dalla Punta di Galisia (3346 m), un monte sulla cui sommità si incontrano i confini di Piemonte, Valle d’Aosta e Francia, si stacca in direzione sud-est un crinale fatto di cime frastagliate e appuntite che culminano nell’imponente bastionata rocciosa delle tre Levanne (3600 m circa): sono le dentate e scintillanti vette che ispirarono l’ode “Piemonte” al poeta Giosuè Carducci che nel 1890 ebbe modo di venire da queste parti mentre presiedeva gli esami di maturità a Cuorgné.
La Granta Parey (3387 m) è la montagna simbolo della Val di Rhêmes: segna il punto più occidentale del parco. Le vette del settore orientale del parco sono più basse; tra di esse spiccano la Punta Lavina (3274 m) e la Rosa dei Banchi (3164 m). Quest’ ultima è molto frequentata dagli escursionisti per l’aereo panorama che offre verso la Valle Soana e la Valle di Champorcher. Le cime del parco nazionale fanno parte ovviamente delle Alpi Graie.
Idrografia
Il territorio del parco ricade a sud nel bacino idrografico dell’Orco e a nord in quello della Dora Baltea.
- I laghi più grandi e suggestivi del parco si trovano nella zona circostante il Colle del Nivolet. Dai due Laghi del Nivolet, antistanti il rifugio Savoia nell’omonimo pianoro, nasce il torrente Savara che, dopo aver percorso la valle cui dà il nome (Valsavarenche), confluisce nella Dora Baltea nei pressi di Aosta. Superato il gradino erboso che sta sopra il rifugio ci addentriamo nei piani di Rosset dove scorgiamo i laghi naturali più spettacolari dell’intera area protetta: il Lago Leità dalla particolare forma allungata e il Lago Rosset con il suo caratteristico isolotto. Quest’ultimi costituiscono la sorgente del torrente Orco che scorre verso il Piemonte e sfocia nel Po vicino a Chivasso. Poco distante dai piani di Rosset vi sono i Lacs des trois becs (tre grandi e due piccoli) e proseguendo ancora un po’ il Lago Nero (o Lago Leynir). La “regione dei grandi laghi” è il cuore del parco nazionale: dalle sponde di questi specchi d’acqua il colpo d’occhio spazia su tutte le principali vette del Gran Paradiso e delle Levanne.
- In Val di Rhêmes troviamo il piacevole Lago di Pellaud: è ubicato all’interno di un bel lariceto ad una quota relativamente bassa (1811 m).
- In Val di Cogne vi sono due interessanti laghetti: il Lago Lauson (Valnontey) ed il Lago Loie (2356 m, vallone di Bardoney).
- Sul versante indritto della Valle dell’Orco, lungo il tracciato della mulattiera reale, poco sotto il Colle della Terra, tra le morene troviamo il Lago Lillet. Data l’altitudine (2765 m) questo lago, tranne che per un breve periodo estivo, rimane sempre gelato. Nei suoi paraggi si possono incontrare, nella stagione propizia, branchi di stambecche, cuccioli e caprettini di pochi mesi. Il Lago Lillet è raggiunto anche da un ripido sentiero che sale dalla borgata Mua di Ceresole.
- Uno degli angoli meno conosciuti del parco è il Lago di Dres (2073 m). Si trova sul versante inverso della Valle Orco, quasi all’estremo confine meridionale del PNGP. È uno dei pochi punti del lato piemontese dove si può scorgere la vetta ed il ghiacciaio del Gran Paradiso far capolino oltre le alte cime canavesane.
- Nel Vallone di Forzo, in Val Soana, è situato il Lago Lasin (2104 m); al centro di una conca selvaggia è caratteristico per la grossa isola che occupa la parte nord-orientale dello specchio d’acqua.
- È interessante ricordare che la città di Torino dipende, per l’approvvigionamento idroelettrico, dai paesi canavesani di Ceresole Reale e Locana. In Valle Orco ci sono ben sei invasi artificiali gestiti da Iride S.p.A.: tre si trovano lungo la strada che conduce al Colle del Nivolet (Lago di Ceresole, Lago Serrù, Lago Agnel), altri tre nei valloni laterali del versante solatìo (Piantonetto, Valsoera, Eugio).
Fauna
L’animale simbolo del parco è lo stambecco presente in circa 2700 unità (censimento di settembre 2011).
Il maschio adulto può pesare dai 90 ai 120 kg mentre le corna possono arrivare anche a 100 cm. La femmina, più piccola, ha delle corna più lisce lunghe appena 30 cm. I branchi sono composti da soli maschi oppure da femmine e cuccioli. I maschi anziani vivono isolati. Il periodo degli amori coincide con i mesi di novembre e dicembre; in questo periodo gli stambecchi maschi che hanno raggiunto la piena maturità sessuale si battono tra di loro squarciando il silenzio dei valloni con l’inconfondibile rumore delle cornate udibile anche dal fondovalle. La femmina rimane fertile per pochi giorni. La gravidanza dura sei mesi. A primavera inoltrata, la stambecca si ritira su qualche cengia isolata dove darà alla luce (maggio, giugno) un piccolo, talvolta due. Lo stambecco ha un carattere mite ed imperturbabile e si lascia facilmente osservare dall’uomo.
Il camoscio, invece, è diffidente, elegante nei suoi balzi, veloce e scattante. Di dimensioni minori (massimo 45–50 kg), se ne contano oltre 8000 esemplari. Le sue corna, non imponenti come quelle dello stambecco, sono sottili e leggermente uncinate. Questo ungulato non è più in pericolo di estinzione in quanto l’assoluta mancanza di predatori naturali ne ha favorito la crescita numerica e l’eccessiva colonizzazione del territorio (durante l’inverno scendono a valle danneggiando il sottobosco, attraversano le strade asfaltate, arrivano a cercare il cibo a pochi metri dalle case) tanto da rendere necessarie, a volte, delle azioni di caccia selettiva per ridurne il numero.
Il parco, in passato, non era un ecosistema equilibrato e completo. I predatori naturali erano del tutto assenti: l’orso e il lupo estinti da secoli, gli altri erano perseguitati ai tempi della riserva. Il compito delle Reali Cacciatori Guardie era quello di proteggere la selvaggina non solo dai bracconieri ma anche dagli animali ritenuti nocivi e il re ricompensava con laute mance l’abbattimento di una lince, di un gipeto, di una volpe o di un’aquila. Si giunse così, all’incirca nel 1912-13, all’estinzione della lince europea e del gipeto.
Oggi, grazie a sorveglianza e attività di conservazione, si contano 27 coppie di aquila reale (censimento 2013), raggiungendo una delle densità maggiori di coppie di aquile reali sulle Alpi mentre molto presente resta la volpe. Circa trent’anni or si sperimentarono le tecniche per la reintroduzione della lince. Inoltre, è stato anche reintrodotto il gipeto, che ora può contare di circa 7 individui. Dal 2011 il gipeto ha iniziato a nidificare di nuovo nel Parco, anche se senza successo nel primo anno. Nel 2012 la nidificazione si è ripetuta per due coppie ed è andata a buon fine in entrambi i casi, coll’allevamento di un giovane per ciascun nido. Il lupo, in aumento in Italia, risalendo l’Appennino, è tornato a farsi vedere nel Parco negli ultimi anni e conta oggi 6-7 esemplari, si tratta di un branco familiare di 5-6 esemplari tra la Valsavarenche, la Val di Rhêmes e la Valgrisenche ed un lupo solitario in Val di Cogne
Un altro mammifero molto diffuso nel parco è la marmotta (se ne contano circa 6000 unità). Vive in tane sotterranee con diversi cunicoli come vie d’uscita. Predilige le praterie e le poche aree pianeggianti (numerosissime al Piano del Nivolet). È un roditore e ai primi freddi cade in un profondo letargo che dura quasi sei mesi. Inconfondibile il suo verso: un fischio che la marmotta “sentinella” emette, drizzandosi in verticale, quando avvista un pericolo o un animale estraneo al suo ambiente seguito dal repentino fuggi fuggi degli altri componenti del branco.
Fanno parte della fauna del Gran Paradiso anche numerose specie di volatili: poiane, picchi, cince, pernici bianche, gracchi, sparvieri, astori, allocchi, civette.
Nei laghi e nei torrenti nuotano due specie di trote: una autoctona, la trota fario, l’altra alloctona, il salmerino di fontana, quest’ultimo introdotto negli anni sessanta a scopo turistico con il beneplacito di alcuni scienziati dell’epoca , e in corso di eradicazione dai laghetti d’alta quota grazie al “Progetto Life+ Bioaquae”.
In 4 piccoli laghi alpini: il lago del Nivolet Superiore, di Trebecchi Inferiore, di Trebecchi Superiore e quello di Lillet è stata riscontrata la presenza di un piccolo crostaceo, la Daphniamiddendondorffiana. Sono tutti laghi ubicati ad una quota superiore a 2500 m s.l.m. e senza fauna ittica e questa daphnia è una specie che normalmente ha come habitat le acque dolci degli ecosistemi artici.
Tra i rettili ricordiamo la vipera comune (Vipera aspis, tipica delle zone asciutte, e tra gli anfibi la salamandre Salamandra salamandra).
Nei boschi di aghifoglie capita talvolta di rinvenire dei mucchi di aghi di conifere alti anche mezzo metro: sono i nidi della Formica rufa.
- Valle d’Aosta:
- Valle di Cogne (versante sinistro orografico): Cogne, Aymavilles
- Valsavarenche (entrambi i versanti): Valsavarenche, Introd, Villeneuve
- Val di Rhêmes (versante destro orografico): Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges
- Provincia di Torino:
- Valle dell’Orco (versante sinistro + versante destro sino alla Levanna orientale): Ceresole Reale, Noasca, Locana, Ribordone (solo la parte alta del vallone)
- Val Soana (valloni di Forzo, Campiglia e settore destro del vallone di Piamprato): Valprato Soana, Ronco Canavese
DA VISITARE ACQUISTARE E MANGIARE
Architettura religiosa
- Santuario di Prascondù, che ospita anche il Museo della religiosità popolare creato dall’Ente Parco.
Gastronomia e Artigianato
Boudin (salame con ortaggi), Salame con sangue di maiale e patate, Mocetta (prosciutto di camoscio). Sopravvive la lavorazione artigianale del cuoio, del rame, del ferro battuto e degli attrezzi agricoli da montagna.
Centri visitatori
I Centri visitatori del parco sono dei punti informativi monotematici (il gipeto, lo stambecco, il camoscio, la geologia, i predatori, i mestieri) distribuiti sul territorio dei vari comuni del parco e presenti in ogni valle. Sono gestiti dall’Ente Parco, in particolare in territorio valdostano sono gestiti in collaborazione con Fondation Grand-Paradis.
Il centro visitatori di Ronco Canavese
Veduta del Gran Paradiso dal Giardino alpino Paradisia
I centri visitatori sono:
- Homo et Ibex a Ceresole Reale
- Le forme del paesaggio a Noasca
- Spaciafurnel – Antichi e nuovi mestieri a Locana
- La cultura e le tradizioni religiose a Ribordone
- Tradizioni e biodiversità in una valle fantastica a Ronco
- I preziosi predatori a Valsavarenche in località Degioz, dedicato alla lince e al suo ritorno negli anni settanta e dal 31 luglio 2011 con un nuovo spazio dedicato al lupo
- Bentornato gipeto! a Rhêmes-Notre-Dame, in località Chanavey, dedicato al gipeto e all’avifauna del parco
- Tutel-Attiva Laboratorio Parco a Cogne, laboratorio nel Villaggio Minatori nato nel 2007
Ai centri visite si aggiungono alcune esposizioni museali o collezioni botaniche:
- Vecchia Scuola di Maison, esposizione permanente a Noasca
- Le torbiere d’alta montagna a Ceresole Reale (chiuso)
- Giardino alpino Paradisia in Valnontey
- Ecomuseo del rame a Ronco Canavese (chiuso)