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Home BLOG

“I CAMPI RAUDII”

Fabrizio Bacolla di Fabrizio Bacolla
10 Settembre 2015
in BLOG, Storia, Terza Pagina
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“I CAMPI RAUDII”
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“ I Cimbrii, antica popolazione germanica. Emigrarono dal Chersoneso Cimbrico nell’odierna Schleswig verso Sud, alla fine del II sec. a.C. vennero in conflitto coi Romani. Dopo aver disfatto nel 113 Papirio Carbone nel Norico, irruppero in Gallia nel 109, dove, in seguito al rifiuto romano alla domanda di concessione di terre, uniti ai Teutoni e ad altre popolazioni devastarono nel 108 l’Aquitania, poi nel 106 vinsero Marco Aurelio Scauro e, nella battaglia di Arausio, Servilio Cepione. Benché i Teutoni fossero battuti nel 102 da Mario ad Aquae Sextiae, i Cimbrii scesero in Italia per la valle dell’Adige incalzando l’esercito di Lutazio Catulo, finché furono sterminati ai Campi Raudi  nel 101”.

 

Secondo Plutarco la battaglia si svolse tra i Cimbrii che avevano invaso la Pianura Padana provenienti dalle pianure dell’Europa centrale e gli eserciti romani riuniti da Caio Mario e Lutezio Catulo. Lo scontro avvenne il 30 luglio 101 a.C. e i Romani sbaragliarono i Cimbrii che lasciarono sul terreno più di 100.000 morti. Numerosi sono i reperti che nel corso dei secoli sono venuti alla luce e che ricordano il passaggio dei due eserciti: nel 1868 in un campo presso Orfengo si rinvennero tombe romane ed olle cinerarie; nella località la Pieve si rinvennero monete consolari del periodo Cimbrico. Nel 1843presso la Cascina Ginestra si scoprirono molte tombe romane formate di embrici in un delle quali due rarissimi vasi lacrimali. Altri reperti si trovano al Museo di Novara, come un anello d’oro con ritratto di Marco Aurelio e Faustina, bottiglie di vetro azzurro e verdognolo con forma quadrata e ansa costolata, olpe di fine terra rossa e una lucerna con dischetto decorato raffigurante CAPRONE, monete di Stati Aurei del nordico o della Vendelicia. Altri reperti legati alla battaglia furono trovati a Gattinara, citando le scoperte, a fine ‘700, di “armi antiche, sepolcri, parti di corazze ed elmi” presso il suo convento di Gattinara. A Fara Novarese in via Gallarini n. 15 nel cortile della casa di proprietà Contini-Dessilani , del Barone Costantino Franchetti da Ponte, si trova un’urna in granito, usata da tempo immemorabile come abbeveratoio per cavalli e mucche. Attualmente è nel mezzo del cortile su due piedistalli in pietra. Non si sa nè quando nè dove sia stata trovata ma si presume provenga dal sottosuolo di Fara Novarese.

 

La scoperta più interessante consisterebbe in un’urna funeraria rettangolare in granito, senza fregi laterali né dorsali entro le cornici della facciata anteriore. Iscrizione in cartiglio ansato nella faccia anteriore. La dicitura recita: “DM

L LVPERCI LF VRVSI VI VIR AVG

CIVI .. HELVETIORUM NEGOT

IATORIS Vt EN .. AR CISALPINI Et TRN S

VL DENIOVI LEG COLLEGI MNLMV N”

Le lettere DM indicano una urna funeraria. Gli Dei Mani erano le anime dei Trapassati, divinizzate, erano onorati con libagioni di acqua, vino, latte, e con sacrifici nella festa dei morti del 21 Febbraio: il soggiorno degli Dei Mani era nel mondo sotterraneo. Secondo l’ epigrafe funeraria scolpita sul sarcofago romano si tratta dell’urna funeraria di un “seviro augustale”. I seviri augustali erano sacerdoti addetti al culto imperiale, la cui nomina era di competenza dell’autorità civile, mentre i seviri non augustali, cioè non sacerdoti, costituivano una magistratura municipale. Questo seviro augustale di nome LUPERCI o LUPERCUS, personaggio di molto riguardo, potrebbe essere un cittadino romano, resosi benemerito e che in premio ottenne proprietà terriere a Fara Novarese. La lettura dell’iscrizione “CIVIS HELVETIORUM NEGOTIATORIS” si può ritenere esatta. L’iscrizione non ci dice in quale merce egli negoziava, tuttavia nulla ci vieta di pensare, data la zona in cui venne trovata l’urna funeraria, che egli sia stato un commerciante di generi agricoli o di vini, in quei tempi tanto apprezzati dai cisalpini. Il consumo di vini era così alto da indurre Domiziano ad emanare l’ordine che in tutte le provincie si dovessero distruggere per lo meno la metà delle viti. Il Mommsen, già citato,  parlando della Gallia dice: “E’ evidente che i vini certamente dovevano essere apprezzati e redditizi”. L’urna funeraria può essere assegnata alla seconda metà del II sec. e sempre a Fara, si trova un sarcofago senza epigrafe. Questo sarcofago, molti anni fa, è stato segato per il lungo esattamente in due parti e queste due metà sono state utilizzate come sedili di granito. Mio nonno Pietro mi raccontava che verso il 1880 a Fara in regione GALET, durante i lavori di sterro per costruire la massicciata della ferrovia Novara-Varallo sono state trovate parecchie monete romane in argento e due capitelli in granito in stile ionico. Delle monete dei due capitelli si è persa ogni traccia.

 

Floro dice che i Campi Riudii avevano una estensione immensa, in”patentissimo quem Raudium vocant campum” e doveva essere una pianura vastissima se i soli Cimbri, procedendo a schiera quadrata, occupavano per ciascun lato lo spazio di 30 stadi, corrisondenti a  5,321 chilometri, con un’armata di 200.000 uomini e 15.000 cavalieri. I romani contrapponevano 52.000 combattenti. I Campi Raudii erano terreni gerbidi, non adatti alla coltivazione, essendo fondo pubblico, esenti da dominio, quindi terreno libero. I documenti dimostrano che questi potentissimi Campi Raudii incominciavano a Biandrate, finivano a Robbbio, e si allungavano da San Pietro Mosezzo fino alla Rovasenda. Il Sesia all’epoca romana aveva un corso assai diverso dall’odierno. Grazie al maggior apporto delle acque fornite dai ghiacciai, rasentava le colline che vanno da Romagnano a Briona e dopo aver lasciato a destra Castellazzo San Pietro, Peltrengo, Casalino e Granozzo, si spingevano  verso Confienza e Palestro. La testimonianza, si ha oggi con quanto rimane dei vari letti che del Sesia rimangono: la roggia Mora, la Biraga, la Busca. I documenti di cui si dispongono dimostrano invece che questi “potentissimi Campi Raudii” incominciavano a Biandrate, finivano a Robbbio, e si allungavano da San Pietro Mosezzo fino alla Rovasenda. Mentre altri affermano che la battaglia avvenne alla destra del Sesia.

 

I Cimbrii, nell’imminenza della battaglia, si erano trincerati in due campi: uno maggiore a Casalbeltrame dove erano radunate le salmerie, le tende, le donne ed i figli al seguito, ed uno minore posto tra Pisnengo e Fisrengo dove si erano asserragliati i guerrieri e da cui uscirono il giorno della battaglia, disponendosi, secondo Plutarco, in un immenso quadrato. I Romani avevano invece diviso il loro esercito in tre parti: Lutezio Catulo aveva il suo campo nel centro a Torrione Balducco, con le due ali a Casalgiate, sotto il comando di Caio Mario, e Casalvolone: il “Castra Volorum”, cioè formato dal corpo dei “Volones” ossia dei Volontari romani. I romani manovrarono con l’ala sinistra ed assalirono i Cimbrii in un immane scontro che vide gli stessi soccombere e lasciare sul terreno 120.000 morti. Inseguendo i resti dell’armata cimbrica, i romani sbaragliarono il secondo campo, massacrando donne e bambini. Per vendicarsi della sconfitta subita qualche anno prima alle Aquae Sextiae, in Provenza, i Romani lasciarono insepolti i cadaveri dei Cimbrii uccisi. I campi dove avvenne lo scontro da allora furono chiamati Campi Putridi: “Putridi Enghi” sincopati in seguito a Peltrengo.

 

In onore della vittoria Silla, che aveva partecipato alla battaglia con il corpo centrale di Catulo, eresse un Arco di Trionfo a Camerino, “L’Arcus Marianus”, distrutto dallo stesso quando i rapporti tra Mario e Silla si guastarono fino allo scontro che vide prevalere lo stesso Silla. La crudeltà con cui questa battaglia venne combattuta non ha bisogno di ulteriori commenti, basti dire che gli abitanti di Ceste, nel basso vercellese, al solo udire del terribile scontro che vi sarebbe avvenuto, anche se parecchio lontano,  si rifugiarono sulle colline monferrine, creando nei secoli l’abitato di Moncestino. A ricordo di questo evento esiste tuttora un’abitudine culinaria chiamata “Mirauda” o “Miranda” e si tratterrebbe di una biscia che avrebbe dato il nome agli stessi Campi Raudii, (Campi Rossi) e con questo serpentello si preparerebbe un brodo per un risotto. In conclusione La ferocia con cui questa battaglia fu combattuta è ben ricostruita da Theodor Mommsen: ”I due eserciti si incontrarono presso Vercelli, non lontano dalla confluenza del Sesia con il Po, I Cimbrii erano ansiosi di battersi e, come loro usanza, inviarono una delegazione al campo romano per concordare tempo e luogo. Caio Mario li accontentò, e propose il giorno seguente la piana di Raudii, un vasto luogo pianeggiante, che avrebbe reso più agevoli le manovre della cavalleria romana, superiore a quella germanica. La cavalleria dei Cimbrii, muovendosi nella densa foschia mattutina, fu colta di sorpresa da quella romana, con cui fu costretta ad ingaggiare un combattimento ravvicinato prima che potesse disporsi in formazione di attacco, e fu quindi ricacciata indietro verso la propria stessa fanteria, che stava proprio in quel momento schierandosi a battaglia.

Al termine i Romani ottennero una schiacciante vittoria, riportando solo leggere perdite, mentre i Cimbri furono letteralmente annientati. Quelli che trovarono la morte in battaglia, cioè la maggior parte dei Cimbrii, compreso il valoroso re Boiorix, poterono chiamarsi fortunati, sicuramente più fortunati di coloro che, venduti a Roma al mercato degli schiavi, trovarono un padrone desideroso di vendicarsi su di loro, uomini del nord, che avevano osato sfidare Roma per conquistare le terre prima che i tempi della Storia fossero maturi per questa impresa. Alla notizia della disfatta i Tigurini, che erano rimasti al di là delle Alpi, col proposito di unirsi successivamente ai Cimbri, rinunciarono immediatamente all’impresa e fecero ritorno alle loro sedi. La valanga umana, che per tredici lunghi anni aveva seminato terrore fra i popoli stanziati fra il Danubio, l’Ebro, la Senna ed il Po, si trovava sepolta sotto l’erba oppure soggiogata in schiavitù. Il destino del grande miraggio della migrazione germanica si era compiuto, il popolo senza patria dei Cimbrii ed i loro compagni di avventura non esistevano più”. A Roma, il Senato stesso ne rimase indignato, e quando alcuni dei senatori chiesero a Caio Mario di giustificarsi, egli ironicamente rispose “Che nella concitazione della battaglia gli era stato difficile capire se la voce di Roma era quella degli alleati oppure quella della legge”.

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