Osannato e vituperato, glorificato e maledetto, Giuseppe Garibaldi è l’italiano più conosciuto in patria e all’estero, come attestano studi recenti e meno recenti. Liberatore del Mezzogiorno e sommo artefice dell’unità d’Italia, a giudizio dei più; mercenario, negriero e predone al servizio della massoneria, secondo il parere poco autorevole di altri. Non c’è paesello nello Stivale senza una lapide, un cippo, un monumento, una scuola, una strada, un busto, un teatro o una piazza a ricordarci l’eroe dei due mondi.
Infinite località si gloriano del privilegio di aver ospitato l’ineffabile condottiero per mezza giornata o per un’intera notte. E pazienza se talvolta si sfiora il ridicolo, come nel caso della lapide che campeggia sulla facciata del severo Palazzo Alliata di Villafranca, nel centro storico di Palermo: «In questa illustre casa, il 27 maggio 1860, per sole due ore posò le stanche membra Giuseppe Garibaldi. Singolare prodezza fra l’immane scoppio delle micidiali armi di guerra, sereno dormiva il genio sterminatore di ogni tirannide». Non meno arlecchinesca fu l’impresa del sindaco di Capo d’Orlando (Messina), «nessuna tessera di partito in tasca, ma sostenitore dell’orgoglio siciliano», il quale, nel 2008, pensò bene di fracassare a martellate la targa in memoria dell’illustre nizzardo.
A Garibaldi, «icona pop», nel centoquarantesimo anniversario della morte, è dedicata una singolare mostra presso il Museo nazionale del Risorgimento italiano di Torino. Curata da Ferruccio Martinotti, il direttore dello stesso museo, e aperta sino al prossimo 8 gennaio, documenta la nascita e lo sviluppo di un mito popolare attraverso una grande varietà di oggetti, molti dei quali decisamente effimeri: soldatini di piombo, portasigarette, brocche, tazze da the e da caffè, scatole di fiammiferi, francobolli, etichette di prodotti alimentari (confetture, vini, liquori, biscotti, cioccolatini, estratti di carne, miele, ecc.), cartoline, fotoromanzi, pipe in terracotta, giocattoli, banconote, statue in porcellana, orologi da polso, da tasca e da tavolo, album di figurine, e così via. Senza dimenticare, ovviamente, i dipinti, le bandiere (preziosa e bellissima quella della 115a brigata garibaldina «Bruno Peirolo» attiva in Valsusa), le stampe, i libri, gli opuscoli, le canzoni e le pellicole cinematografiche.
Di per sé, l’idea di fondo della mostra non è nuova. Nel 2007, a Genova, fu allestita una rassegna molto simile dal titolo «Garibaldi nell’immaginario popolare». L’iniziativa in corso è una conferma della straordinaria mediatizzazione di uno fra i più popolari eroi del Risorgimento e una testimonianza dei processi attraverso i quali lo stesso eroe si è imposto nell’immaginario collettivo. Esiste persino un fumetto venduto nel bookshop del museo torinese che s’intitola «Garibaldi vs zombies» e «mette a confronto», stando alla pubblicità, il condottiero nizzardo «con situazioni e personaggi di tradizioni letterarie e cinematografiche di solito tenute a distanza, come quella horror e quella fantascientifica». «Il tutto è condito – si chiarisce – con abbondanti dosi di umorismo e un tocco di steampunk all’italiana».

Perdindirindina, persino lo steampunk! Sottogenere della narrativa fantascientifica che si richiama idealmente a Jules Vernes e si è sviluppato all’insegna del motto «come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima», lo steampunk mescola tempo trascorso e avvenire, realtà e immaginazione, introducendo tecnologie, stili di vita, musiche, abiti e arredi assolutamente anacronistici in precise ambientazioni storiche, talvolta con influssi fantasy e horror.
Per rimanere in tema, come poteva mancare un fumettone di genere erotico-horror? Uscito nel 1972, vede Garibaldi alle prese con l’ammaliante e discinta Zora la vampira (d’altronde, com’è ampiamente noto, l’eroe era un inguaribile sciupafemmine), per le cui fattezze si dice che il disegnatore Birago Balzano si fosse ispirato nientepopodimeno che a Catherine Deneuve. L’album è assai ricercato sia dai collezionisti di cimeli garibaldini sia da quelli di fumetti vintage.
«Dalla mostra, con rammarico, è stato escluso il pesce Garibaldi a motivo delle sue ragguardevoli dimensioni, tuttavia – spiega il direttore del museo torinese – si può sempre sorseggiare un cocktail Garibaldi (a base di bitter e succo d’arancia), brindando ai successi calcistici del Nottingham Forest (le cui maglie rosse si richiamano esplicitamente, sin dal 1865, alle camicie dei Mille), magari cercando di scorgere mediante un telescopio l’asteroide Garibaldi nel suo placido orbitare tra Marte e Giove».