“Nella valle, Marcellina turbinii di aere fina di arse case il ciel fiammeggia il rogo divoratore, basso spumeggia. Sorte avversa, sorte dura, notte estrema di somma paura città diletta degli incanti, i cittadini tuoi, arsero tutti quanti”.
Chi conosce questa storia? Quasi nessuno. Iniziamo. Verso la fine del I secolo a.C. i romani realizzarono vere e proprie edificazioni urbane in zone di pianura prima disabitate. Così successe per Industria che sulle colline dell’attuale Monteu da Po, dove vi é la chiesa parrocchiale, già si trovava un abitato celto-ligure chiamato “Bodincomagus”, importante e frequentato già dall’età del ferro; poi con la sottomissione della zona alle leggi di Roma iniziarono le costruzioni nelle zone pianeggianti creando inizialmente un centro di mercato (Conciliabulun) e dopo qualche decennio capoluogo amministrativo a sè (Municipium). Potrebbe essere successa più o meno la stessa cosa con Cocconato e Marcellina. Esaminiamo i fatti: esisteva all’epoca una strada che collegava Industria ad Asti come obbligato itinerario collinare intercalato da torri di avvistamento e stazioni di rifornimento.
Tutta la zona era un insediamento nella IX regione augustea. Partendo da Industria la prima tappa era forse il passaggio per l’abbazia di Santa Fede a Cavagnolo, fatta risalire in origine ad antico tempio pagano e poi ricalcando più o meno l’attuale strada di Valle Nervi si raggiungeva Moransengo e da qui passando poi per le località di Bausignano, Rocca e Roletto si arrivava alla città di Marcellina che era ben altro che un piccolo punto di riferimento. Sappiamo che inizialmente nella valle sulla cresta delle colline a sud e a ovest erano località abitate, come dimostrano i primi numerosi reperti venuti alla luce e di cui purtroppo non si sa più nulla. Su questo punto ci si rammarica perchè come testimonia il Tartaglino nella sua “Storia di Cocconato”: “E’ triste la constatazione che molti reperti archeologici venuti alla luce in questi ultimi anni (siamo nei primi anni sessanta) siano andati dispersi come ci é stato confermato da diversi abitanti della zona”. Successivamente la città di Marcellina si ingrandisce e viene addirittura fortificata con bastioni i cui ruderi erano ancora visibili verso la metà del 1700. Scrive Eugenio Rocca, segretario comunale di Cocconato nel 1892: “Mio padre, morto nel 1878 d’anni 80, mi diceva che sua nonna, nata nel 1740 e morta nel 1815, sovente volte gli raccontava che essa da giovinetta andava a trastullarsi su quegli abbandonati ed antichi bastioni delle fortificazioni di Marcellina”. Probabilmente nel periodo più fiorente della città, dove i primi tempi erano sorte villette isolate, si elevavano graziosi edifici con giardini e boschetti, porticati e serre. Gallerie a colonnati,scalee, terrazze artificiali collegavano le varie abitazioni. Essendo essenzialmente un centro spiccatamente rurale le costruzioni erano del tipo misto, ossia muratura e legno, anche i colonnati che adornavano le ville o le univano tra loro erano lignei. Quella cittadina si potrebbe definire l’antesignana delle città giardino e dei centri turistici moderni. Quando la sorte dell’Impero incominciò a volgere al peggio e i barbari avanzavano incendiando e distruggendo tutto sul suo cammino, toccò una notte anche a Marcellina e deve essersi trattato di un massacro di grandi proporzioni, lo testimonia la poesia che ho citato all’inizio e che é restata nella memoria, tramandata per secoli.

La chiesa della Beata Vergine della Neve é ciò che resta della primitiva pieve di cui non si conosce l’origine ma probabilmente fu la chiesa dei primi abitanti che abbracciarono il cristianesimo o forse apparteneva già al culto gentile e pagano. Ciò che é certo é che fu ricostruita varie volte nei secoli, riducendone sempre l’area e nessuno é a conoscenza se questa sacra costruzione abbia mai avuto a che fare con Marcellina, ma se questa storia vi ha affascinato, salite sul poggetto della Beata Vergine della Neve e guardate la vallata sottostante usando l’immaginazione: vedrete Marcellina. Sembra poi verosimile il supporre che la causa della distruzione e dell’abbandono della città abbia determinato i superstiti a fabbricare, per maggior sicurezza, più in alto, dove ora sorge, il villaggio di Cocconato. In questo modo si spiegherebbe anche il significato del nome come derivazione della locuzione latina “Cum Conatu” cioè raggiungibile con fatica. A riprova dell’esistenza del sottostante antico centro romano é la parrocchiale di Cocconato. Possiamo dire con certezza che quando nel XVII secolo si iniziò la sua costruzione fu usato molto materiale proveniente da avanzi di costruzioni esistenti nella valle di Marcellina.
Molto di questo materiale é ancora visibile nella muraglia che sostiene il terrapieno a nord est della chiesa. Vi sono due pietre scolpite, una a forma di arco con scritto: “Anno Millesimo C.C. IX Die XI Aprilis” e l’altra con la data “M.C.C…” più una grande quantità di mattoni di epoca romana. Naturalmente altri preziosi reperti sono occultati nei muri della chiesa per sempre. Nel 1895 furono fatti degli scavi e qualche sondaggio che rivelarono tratti di mura di mattoni fortemente arrossati e spaccati da un grande calore e pietre calcificate, spessi strati di cenere e tronchi carbonizzati a testimoniare l’incendio e il metodo di costruzione mista a cui si accennava precedentemente. Per un lungo periodo gli stessi ritrovamenti facevano i contadini lavorando la terra in quella zona. Durante i rilevamenti fu rinvenuta una statuetta in pietra molto rovinata dal fuoco di cui ci resta solo la descrizione: alta circa cinquanta centimetri con l’atteggiamento tipico di una divinità pagana femminile, testa eretta con una sorta di diadema sui capelli, una lunga veste fluente raccolta alla vita, le braccia alzate in gesto di adorazione.
Il Rocca accenna ad un “pozzo” come unica vestigia del passato di Marcellina che secondo lui era posto al centro della città. Nel suddetto pozzo, la notte della sua distruzione, sarebbero stati gettati dai suoi abitanti tutti i preziosi delle famiglie ricche per non farle cadere in mano ai barbari, compreso un cane d’oro che veniva messo su un erpice per arare la terra detta anche “Pietra Cagnola”, un busto di Cesare Augusto sempre d’oro e chi ne ha più ne metta. Forse sono queste favole che hanno indotto a pensare che anche la città stessa fosse un’invenzione. E come dare torto agli scettici con argomenti come questi, ma credo di aver portato argomentazioni abbastanza serie per distinguere cosa é diventata leggenda e cosa rimane una solida realtà. Il “Pozzo” invece si trattava quasi certamente di un “Tempio Pozzo”, composto di un corpo rettangolare con vestibolo e camere per i visitatori che avessero voluto sostare qualche ora per riposarsi e bere l’acqua considerata salutare, probabilmente una sorgente di acqua solforosa.
Dall’edificio rettangolare si passava sotto un porticato fino al pozzo coperto dove una scalinata portava alla sorgente. Abbiamo finito.
Spero di aver destato in voi , cari lettori, curiosità e interesse perchè, ricordate, il passato non se ne resta mai tanto tranquillo, altrimenti perchè si studierebbe la storia?