Se proprio nella settimana in cui in Italia i contagi da Sars-Cov2 sono tornati a crescere (il 10 marzo i “positivi” erano 970 mila, dieci giorni dopo sono 1,2 milioni) il Governo decide la graduale abolizione del super green pass, il motivo è principalmente uno: il lasciapassare non è stato affatto «un grande successo», come vorrebbe far credere Draghi, ma un sostanziale fallimento nella strategia di contenimento della pandemia, e finalmente qualcuno ai piani alti comincia ad accorgersene.
Da quando il super green pass è stato introdotto, nel dicembre scorso, il numero di vaccinati contagiati (o ri-contagiati dopo aver avuto il Covid già una volta) è continuamente aumentato, toccando vette mai raggiunte nei due anni precedenti; nell’ultimo mese, su 1,3 milioni di nuove diagnosi, quasi un milione era costituito da possessori di super green pass. «Premiare i vaccinati» consentendo loro di accedere ovunque, tenendo fuori i non vaccinati (trattati come untori), ha quindi avuto come principale effetto quello di diffondere il virus soprattutto tra i vaccinati, che attualmente – con il loro bel super green pass – occupano il 70% dei letti Covid nei reparti ospedalieri e il 60% di quelli in terapia intensiva.
L’equiparazione del green pass “rafforzato” a quello “base”, misura che costituisce la principale novità del recente decreto che detta le misure in vigore dal 1° aprile, si può definire, con un’efficace espressione veneta, xe pègio el tacòn del buso. Avremo infatti aerei, navi, treni (alta velocità e intercity) e autobus di linea pieni di gente che in parte sarà “negativa” (avendo il green pass “base”, rilasciato a seguito di tampone) e in parte… non si sa, perché il green pass “rafforzato” non dice affatto se il possessore ha il virus in corpo o meno: il festival del contagio, insomma, proprio perché il green pass “rafforzato” rafforza soltanto, rispetto al “base”, la possibilità che il detentore abbia il Covid.
Fino al 30 aprile, poi, resta obbligatorio il super green pass per entrare in ristoranti, centri benessere, sale gioco, discoteche, cinema, teatri, sale concerto, piscine, palestre, luoghi di congressi e convegni nonché “feste comunque denominate” e “feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose” (battesimi, comunioni, matrimoni): tutti luoghi in cui, vista la percentuale di “positivi” dotati di super green pass, ci sarà sempre qualcuno che porterà il virus. Se però si è turisti stranieri, già dal 1° aprile si potrà entrare nei ristoranti mostrando anche solo il green pass “base”, e lì farsi contagiare da qualche altro commensale italiano inconsapevolmente “positivo” che siede lì a fianco avendo il green pass “rafforzato”. Nice! Wonderful Italy!
Fino al 31 dicembre, poi, resterà obbligatorio il green pass “rafforzato” per entrare a far visita a parenti o amici nelle case di riposo e nei reparti di degenza degli ospedali. Quindi: accesso vietato a chi, non vaccinato, ha fatto il tampone dieci minuti prima ed è “negativo”, ma porte aperte a chi ha il super green pass risalente magari a tre o quattro mesi fa. Una norma ancora una volta assurda, che sembra studiata appositamente per portare il virus anche in questi luoghi in cui sono ricoverate persone fragili che dovrebbero essere protette (tanto che fino a ieri, per farti entrare, che tu fossi vaccinato o no ti sottoponevano comunque a tampone).
Il vero motivo per cui il Governo sta man mano allentando la cervellotica normativa sui green pass è però un altro: non ci crede più nessuno, e sono sempre di più gli italiani che hanno capito che quel lasciapassare non è solo inutile ma addirittura dannoso. Ieri Mario il barista mi ha detto: «Oh, hai sentito di Oreste? Veniva tutti i giorni qui a prendere il caffè, col super green pass, e da ieri è in ospedale col Covid. Ma allora io che ca..o li controllo a fare, ‘sti super green pass, trecento al giorno con la app sul telefono, che tanto non mi dice se quello che vien qui al bancone ha il virus o no?». Ecco: c’è arrivato prima Mario il barista che Mario il presidente del Consiglio.