“La roggia San Marco serve ancora a qualcosa? Se non ha più una reale utilità, e costituisce un pericolo per la città, perché lasciarla entrare nell’abitato? Deviamola verso l’Orco fin da Pratoregio, scaricandola nel rio Palazzolo, e abbiamo risolto almeno in parte il problema. Finendola di spendere milioni per costruire sempre nuovi argini, scolmatori, paratoie, ecc.”.
Sembra una provocazione quella di Gino Lusso. Ma non lo è. Le sue parole, che capovolgono il nostro tradizionale punto di vista, sono dettate da una profonda conoscenza del territorio. Lusso è stato professore universitario di Geografia economica e politica, sindaco di Verolengo, assessore a Chivasso, presidente del Consorzio dei Canali di Caluso, e altro ancora.
“Leggo i vostri interessanti articoli sul rischio alluvione. Però secondo me bisogna cambiare prospettiva. Chiedendoci prima di tutto: le rogge delle quali parliamo per quale scopo furono costruite secoli fa? Svolgono ancora quella funzione oppure no?”.
Cominciamo appunto dalla roggia San Marco. Come il resto della rete idrografica chivassese prese forma tra il 1600 e il 1700. Allora la roggia aveva probabilmente tre funzioni. Prima, far girare la ruota di ben tre mulini: il San Marco in via Berruti, quello di fronte all’ospedale dove si trova la villa del dottor Bertolino, e quello al fondo di via Carabinieri, nella zona industriale Est. Seconda: forse nel vecchio abitato costituiva una barriera di acqua, un fossato, a protezione delle mura Nord del vecchio nucleo della città. Terzo, irrigava campi. Ma ne irrigava pochi. Quelli dei vecchi tenimenti dell’Ordine Mauriziano, e molto più a valle i terreni agricoli tra il Canale Cavour e il Po presso Castelrosso. Le prime due funzioni non esistono più. La terza è quasi scomparsa: per bagnare i pochi campi e orti ancora coltivati basterebbe molta meno acqua di quella portata dalla roggia. Ecco perché il professore suggerisce, con le cautele del caso, una soluzione radicale: deviare la San Marco nel rio Palazzolo a Pratoregio, dove ci sono già le paratoie predisposte per scolmare in caso di piena. In questo modo l’acqua tornerebbe nell’Orco dal quale proviene. Verso Chivasso si potrebbe lasciar passare solo quel poco che serve ancora per irrigare. Il tratto di roggia che attraversa il centro di Chivasso si potrebbe persino eliminare, liberandoci dai soliti inconvenienti della puzza d’estate e della costosa pulizia da eseguire periodicamente. Fine della storia. Fine, o quasi, del pericolo che la San Marco allaghi l’abitato. Senza dover affrontare spese colossali.
Passiamo alla roggia Campagna. A differenza della San Marco, questo corso d’acqua ha sempre avuto una prevalente funzione irrigua e la conserva tuttora. Si dice però che deve ancora venire costruito uno scolmatore, detto appunto della roggia Campagna, a protezione della frazione Betlemme. Costo previsto 5 milioni e mezzo di euro. Cifra che è comparsa per anni nel Piano triennale comunale dei lavori pubblici, quando Claudio Castello era l’assessore competente: ora lo scolmatore non vi compare più, e non sappiamo perché. Serve o non serve?
Anche su quest’opera milionaria Gino Lusso ha qualcosa da osservare: “Lo scolmatore della roggia Campagna c’è già: è quello che parte da Betlemme, nei pressi della chiesa, e scende in verticale verso Sud, fino alle ‘case Fanfani’, poi passa sotto via Carabinieri nella zona industriale, scavalca il canale Cavour sull’apposito ponte, e va a sfociare nel Po”. Solo che quello scolmatore è stato mezzo rovinato: nella zona delle case Fanfani è stato ristretto molto per fare spazio alle abitazioni, sopra vi sono stati costruiti persino dei box, e in via Carabinieri è stato “tombato”, tanto per cambiare. E’ possibile eliminare le strozzature e gli eventuali ostacoli, e ripristinarne appieno la funzione di scolmatore? Il professore allarga le braccia. Tuttavia ci vuole poco a pensare che costerebbe meno di 5 milioni e mezzo di soldi pubblici.
Infine, Gino Lusso ci parla del Po. E’ la questione più importante. Tutti i corsi d’acqua alla fine versano nel grande fiume. E’ della massima importanza che il Po non abbia ostacoli e riesca a lasciar passare l’acqua in piena, ingrossata dagli affluenti, senza straripare a Chivasso. Ma probabilmente un ostacolo c’è, e bisognerebbe verificare. La presa del Canale Cavour ha ristretto il Po. Rallentando, in quel tratto l’acqua del fiume deposita sabbia e ghiaia. Il fondo del letto sale, e l’acqua esonda più facilmente, anche nella zona bassa del Gerbido fino a viale Vittorio Veneto: “Bene dunque l’argine a protezione della Quiete, del quale parla Andrea Fluttero. Però l’argine ha una funzione limitata se a valle, vicino alla presa del Canale Cavour, c’è un ostacolo. Quell’ostacolo, se esiste, bisogna eliminarlo, scavando e abbassando un po’, quanto basta, il letto del fiume, e magari creando una diga mobile per il canale”.
In breve: “Meno grandi opere costose, meno nuovi argini, meno nuovi scolmatori, e interventi mirati dove servono, dove sono veramente utili”. Per individuare questi punti critici si potrebbe consultare l’Università, non solo commissionare incarichi a professionisti. “Insieme all’Università – conclude Gino Lusso – si potrebbero coinvolgere i cittadini, la comunità chivassese, e fare di questo coinvolgimento uno strumento di conoscenza diffusa del territorio nel quale viviamo”.
Tenendo ben presente che lo studio della funzione dei corsi d’acqua “deve venire accompagnato da altre due attività. Una gestione accurata delle rogge: chi gestisce, di chi sono con precisione le competenze? Preferendo una conduzione unitaria al posto dello spezzettamento delle competenze e delle responsabilità. E infine un controllo pubblico rigoroso sugli organi di gestione, come i Consorzi, un controllo di tutto, bilanci compresi”. Il professore ci tiene a precisare che questi sono solo spunti di riflessione. Dai quali partire per studi più approfonditi. Ma ce n’è abbastanza per dar da pensare all’amministrazione chivassese, che si appresta e redigere il nuovo piano regolatore.