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Home BLOG

La piccola linea Maginot “canavesana” contro l’Austria-Ungheria del 1859

Fabrizio Dassano di Fabrizio Dassano
15 Agosto 2014
in BLOG, Ivrea, Storia, Terza Pagina
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Schieramenti in Canavese

Schieramenti in Canavese

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Nel basso Canavese orientale, percorrendo ancora oggi i bellissimi boschi che ricoprono la sponda destra della Dora Baltea, nel tratto Mazzè – Rondissone, si possono ancora scorgere nel terreno sommità e terrazzamenti che non sono riconducibili a forme naturali. Appaiono e scompaiono per circa 17 chilometri nel tratto rivierasco da Mazzè alla

Linea di difesa del Canavese 1859
Linea di difesa del Canavese 1859

confluenza del medesimo fiume fino al Po, nel territorio di Calciavacca. A prima vista sembrano tracce di colture viticole, grossi sentieri ricavati in sola terra traccia di un vecchio sistema di stradine poderali? Niente di tutto questo. Sono le piccole e quasi impercettibili tracce di un grande lavoro di fortificazione campale realizzato in pochi giorni da migliaia di uomini e predisposto su due linee d’arresto, quando il regno di Sardegna, per mano di Cavour rifiutò l’ultimatum di Vienna del 19 aprile 1859. In preparazione dello scontro imminente, si attendeva con trepidazione l’arrivo dei francesi attraverso i valichi alpini per dar manforte al piccolo Piemonte, al momento da solo di fronte all’Impero Austro-Ungarico. Il generale Manfredo Fanti aveva approntato un piano di battaglia che aveva inviato al generale Alfonso La Marmora il 5 marzo 1859, allora Ministro della Guerra. Altre modifiche erano state apportate dal colonnello Giustiniani e dal maggiore Federici. Napoleone III in persona aveva trattato il problema con Cavour a Plombières, e in seguito con i generali Niel e Frossard con la consulenza dello storico militare Thiers. La prevista riunione tra l’Armata sarda e quella francese era prevista tra Alessandria e Casale Monferrato o Vercelli per avanzare poi, secondo la resistenza austro-ungarica verso Piacenza o verso Pavia. Questo fronte avrebbe dovuto determinare l’arretramento dell’Armata austro-ungarica oltre il fiume Mincio e l’occupazione della zona delimitata dai fiumi Adige, Po, Mincio e l’altopiano di Rivoli Veronese. Il rischio, nelle prime fasi della campagna, era determinato dai tempi dell’affluenza dell’Armata francese in Piemonte. Su questa incognita, alimentata anche dal carattere politico delle scelte di Napoleone III, il governo di Torino pose l’attenzione sulle posizioni da difendere per impedire che una puntata offensiva del nemico conquistasse la capitale del piccolo stato subalpina. L’ultima barriera dopo il fiume Ticino, era costituita dal fiume Dora Baltea che nasce ai piedi del massiccio del Monte Bianco e si getta nel Po. A sud del Po vennero progettate opere di difesa sulla linea Valenza – Monte con piazzole per ospitare batterie d’artiglieria e venne rafforzata la fortificazione di Casale Monferrato. Osservando la carta è evidente che la direttrice nemica d’invasione puntava su Novara – Vercelli – Cigliano e Torino. In soli quattro giorni, tra il 26 e 29 aprile (l’ultimatum scadeva il 29 aprile) migliaia di uomii diretti dal corpo del Genio piemontese realizzarono l’imponente sbarramento difensivo. Nel frattempo, sotto la direzione dell’ingegnere idraulico Carlo Noè, (il cui monumento si può oggi osservare a Chivasso alla presa del canale Cavour) fu iniziato il famoso allagamento utilizzando i canali demaniali Tane, Cigliano, Bianzè, Lamporo e Rive che creano una rete di collegamento tra la Dora Baltea e il fiume Sesia, furono allagati 450 km.2 di territorio e strade che dovevano percorrere gli Austro-Ungarici. Il maltempo poi favorì l’alluvione artificiale. La scena venne osservata dagli spalti del castello di Mazzè da Vittorio Emanuele II e dal suo stato maggiore: il ministro generale Alfonso La Marmora, i generali Enrico Cialdini, Federico Menabrea, Giuseppe Pastore e il maresciallo di Francia Francesco Certain Canrobert, i generali Adolfo Niel e Carlo Augusto Frossard. La scena venne ricostruita in una litografia da Qinto Cenni nel 1911, nell’occasione della posa di una lapide nel castello che ricordava l’evento, secondo il volere dell’allora proprietario, il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux, nipote di quell’Edoardo, capitano del

Vitto Ema II e lo stato maggiore al castello di Mazzè secondo Quinto Cenni
Vitto Ema II e lo stato maggiore al castello di Mazzè secondo Quinto Cenni

Nizza Cavalleria che sarebbe caduto trafitto dalle lance il 22 maggio a Borgo Vercelli dopo aver caricato alla sciabola gli ulani con la sua squadra. Gli Austro-Ungarici non seppero sfruttare l’enorme vantaggio iniziale del rapporto in battaglia di 2 a 1, ideale per battere separatamente i Piemontesi e poi i Francesi. L’incertezza regnava sovrana sia nella campagna del 1859 e sia in quella del 1866 contro i Prussiani. Qualche giorno prima dell’inizio delle operazioni Francesco Giuseppe dovette rifiutare le dimissioni del comandante Giulay. Malgrado l’ordine di attaccare, Giulay si limitò a far spostare le truppe all’interno del confine, senza mai attraversare il Ticino. Il morale delle truppe era altissimo per via delle recenti vittorie di Custoza di Novara del ’48 e del ‘49. L’Imperatore intimò al Giulay di attaccare il 27, ma ci vollero due giorni per far transitare l’armata, appena in tempo per incontrare i Piemontesi e anche i Francesi. Il Canavese, seppur fortemente presidiato, non fu sconvolto dalle battaglie che avvennero invece in Lombardia: Montebello, Palestro, Confienza, Vinzaglio. Il 2 giugno i Franco-piemontesi passavano il Ticino e il giorno successivo battevano gli Austriaci a Magenta. Ma poi dopo le vittorie di San Martino e Solferino, Napoleone III interruppe le operazioni con la pace di Villafranca dell’11 agosto.

 

Il piano di difesa

Il governo di Torino incaricava il colonnello del Genio Federico Menabrea che dopo il sopralluogo del 14 aprile 1859 stese immediatamente il piano. Il sistema di fortificazione fu suggerito dalla conformazione del terreno: il fiume Dora Baltea era l’equivalente di un fossato allagato, la sponda destra ripida, era l’equivalente di un vallo naturale ed erto e difendibile con opportune modifiche. Menabrea concepì la linea di difesa concentrandola su quattro blocchi di comunicazione nevralgici:

1° Stradale Torino – Milano, ponte di Rondissone; 2°Strada ferrata “Vittorio Emanuele”, ponte sotto Borgoregio; 3° Verolengo – Crescentino – Pavia, accesso ai porti natanti al di sotto di Calciavacca; 4° Mazzè – Villareggia – Cigliano, accesso al porto natante. Venne adattato il terreno approfittando dell’irregolarità della riva, formando con i punti salienti e rientranti (le anse del fiume) bastioni e cortine, Coronare con batterie i punti essenziali di difesa, e collegare questi centri di fuoco con spalleggiamenti per la fanteria, tutte opere interate per la necessaria rapidità d’esecuzione, accumulo di ostacoli nei punti dove il fiume si allontanava dal ciglione, tagliare le strade davanti alla I linea, scoprire il terreno antistante fino alla portata dei tiri d’artiglieria, minare i ponti in muratura, preparare fascine incatramate per l’incendio di eventuali ponti di legno o di barche gettate dai nemici, gabbioni fascinati per sbarrare la ferrovia. Tutto il sistema difensivo era collegato telegraficamente.

 

L’organizzazione dei lavori

Vennero affidati a due compagnie di zappatori del Genio: la 6a comandata dal capitano Doix raggiunse il 13 aprile Torrazza e fu incaricata dei lavori a monte della ferrovia fino a Mazzè. La 7a comandata dal capitano Girolami per i lavori dalla ferrovia al Po giunse a Verolengo il 19 aprile, ma il 23 il capitano Girolami rimase vittima di un incidente: forse la prima vittima della campagna del 1859. Sostituito il giorno dopo dal capitano Martini. I lavori furono divisi in sezioni affidate ad un ufficiale subalterno con un distaccamento di zappatori così ripartiti: per il comando locale di Mazzè il sottotenente Castelli, per quello di Rondissone il luogotenente Boarini, per Borgoregio il luogotenente Martinazzi, per Torrazza il sottotenente Brunetti, per Calciavacca il sottotenente Vischi e per il comando locale di Verolengo il luogotennte Righini. I lavori si sviluppavano su una lunghezza di 17 km. e iniziarono il 20 aprile, ma vennero interrotti per le violente piogge del 23 e del 24 aprile, e saranno ultimati il 30 aprile. Vennero mobilitati i sindaci di Chivasso, Torrazza, Verolengo e Saluggia per la mano d’opera, raggiungendo i 3.300 uomini. Gli zappatori tracciavano e dirigevano i civili, eseguivano personalmente i lavori più delicati. Ogni sindaco nominava i capi squadra e le squadre erano composte dai 20 ai 50 uomini che percepivano dai 1,15 ai 1,50 franchi la giornata. Le provviste di fascine e gabbioni bvennero appaltate a imprese locali, i lavori di trincea semplice vennero date a cottimo a squadre di operai che si pagavano dai 40 ai 50 centesimi il metro corrente alto 1,30 m. . La contabilità dei lavori era tenuta dal sotto-commissario del Genio Roggeri, residente al comando locale di Torrazza.

 

La I linea di difesa

Il Genio stabilì di adottare la linea difensiva formata da opere staccate alla distanza variabile dai 2 ai 4 km. (il tiro utile dei cannoni dell’epoca), nei punti di maggior importanza tattica per ospitare l’artiglieria e sorsero a Casale di Mazzè, Rondissone, Borgoregio e Calciavacca, a cui facevano capo le strade che davano l’accesso da una riva all’altra della Dora Baltea ed elevare negli intervalli una linea di trincea continua per la fanteria fino alla confluenza con il Po. Se il nemico avesse conquistato i ponti e sfondato la I linea, l’arresto sarebbe dovuto avvenire davanti alla II linea posta ad altezza opportuna. La I linea nasceva dalle alture del castello di Mazzè, un osservatorio era posto sulla sommità della collina a nord del castello. A Casale di Mazzè venne fortificata la strada che portava al guado per Villareggia (il ponte non esisteva: sarà costruito solo nel 1892). Vennero innalzate due lunette di 2,5 metri e due trinceroni paralleli larghi 4 metri che tagliavano le strade che portavano al porto natante del guado. Una batteria d’artiglieria avrebbe poi battuta la strada trai boschi che costeggiava il fiume e che portava all’imbocco del ponte di Rondissone, che insieme a quello della ferrovia Torino – Novara, erano i due unici ponti esistenti dopo il Ponte Vecchio di Ivrea verso est. Più in alto, verso l’abitato, una batteria per due pezzi era difesa da un parapetto. La strada sterrata venne riparata per consentire il transito dei pezzi d’artiglieria. Tutte le case di Casale di Mazzè rivolte al fiume furono messe in stato di difesa foderando i muri di terra e collegandole tra di loro da parapetti di terra. A Rondissone la strada postale per Milano (attuale s.s. n°11) venne tagliata con un tornante a “S” in cui si aprirono delle cannoniere capaci di ospitare ognuna 2 pezzi. L’altro tratto di strada era sotto il tiro d’infilata di 2 batterie. La prima, per 4 pezzi, era sorta in una conca ai piedi della collina, la seconda, per 6 pezzi, era sorta in un giardino privato. Sul ciglio dell’altura, verso la metà del paese, fu preparata una batteria per 2 pezzi. Queste opere vennero collegate con quelle di Casale di Mazzè mediante spalleggiamenti che infilavano alcuni ratti della sponda sinistra del fiume. E che terminavano alla Cascinassa. Alla destra del cimitero di Rondissone fu allestito un grande spiazzo capace di ospitare la grande batteria di 12 pezzi che batteva in pieno la strada di Cigliano e la valle del fiume sottostante. Altri 6 pezzi erano disposti nel cortile dell’allora casa Vilmen, a metà strada tra il cimitero e il villaggio di Rondissone. Anche lì le case vennero rinforzate con terra, gabbioni e nei muri furono aperte numerose feritoie per il tiro di moschetteria.

All’altezza di Borgoregio, di fronte a Saluggia, una batteria poteva battere la scarpa della ferrovia Torino – Novara e le sue adiacenze essendo il terrapieno sottostante elevato all’altezza della ferrovia stessa. Alla destra di questa batteria se ne costruì un’altra per 4 pezzi, di cui uno fiancheggiava la mezzaluna e tutto il ciglione a sinistra, gli altri 3 battevano la strada ferrata e le scarpate. Dietro a queste due opere venne eretto un cavaliere con la sommità a 6,5 metri d’altezza sul piano ferroviario, e in cima vennero posti 2 pezzi in barbetta (la bocca del cannone posta in orizzontale, quasi appoggiata al ciglio della fortificazione. La vampata “faceva la barba” allo spalto bruciando l’erba sottostante) per battere tutto il sistema difensivo del ponte. All’intersezione dei 2 fiumi il saliente e la cortina prospiciente  la strada vennero coronati con altre batterie, dapprima solo in barbetta, poi rialzati per maggior protezione con aperture cannoniere e avevano uno spessore di 4 metri.

La II linea di difesa

Realizzata dietro la parte più importante della I, si snodava da Borgoregio al Po. Iniziava  dall’altura posta a sinistra del villaggio di Torrazza, poi raggiungeva Casabianca e infine Rondissone, formando un traingolo irregolare. Sul ciglio di questa posizione furono allestite 7 batterie capaci di ospitare dai 4 ai 6 pezzi cadauna, fiancheggiandosi fra di loro, battevano completamente la pianura sottostante. L’estema sinistra dello schieramento era difeso da una batteria che avrebbe incrociato il fuoco con quella della I linea di Rondissone, allo scopo di preparare il terreno per scatenare la cavalleria contro quel corpo di battaglia nemico che avesse sfondato la I linea. Anche in questo caso le singole batterie erano unite da trincee continue di terra. Torrazza, dopo Rondissone, era il caposaldo fondamentale, tale da essere difeso da ben 24 pezzi da campagna: una rialzata di 4 metri rispetto l’altra, dispose su due file parallele che dominavano da un’altezza di 10 metri la pianura sottostante. Le alture, già allora occupate dalle fornaci, vennero fortificate e le medesime fornaci trasformate in blockhaus (bunker). Se il nemico si fosse trovato nella sacca triangolare, il fuoco dei cannoni caricati con cartoccio a mitraglia avrebbe falciato le ordinate file di “giacche bianche” austriache.

Inoltre 4 pezzi di ciascuna batteria fiancheggiavano la roggia di Verolengo e un altro pezzo, posto in barbetta, batteva la strada d’ingresso al paese. Le 2 batterie erano collegate con uno spalleggiamento collegato alla cascina Chiggia, fortificata, realizzando un’opera chiusa. Alla di Torrazza scorre in linea retta la roggia di Verolengo fino al Po e venne trasformata in linea di difesa, fiancheggiata dalla batteria di Torrazza e rinforzata con un’opera a corona semplice a cavallo della strada ferrata, per infilare la ferrovia e battere il terreno antistante. Le alture naturali a destra del paese di Verolengo servirono per installare batterie in barbetta per prendere d’infilata tutte le strade e i sentieri che incrociavano a Verolengo.

 

Gli ordini di battaglia (2 aprile – 7 maggio 1859)

 

Divisione di Cavalleria

Comandante: Gen. Calisto Bertone di Sambuy, Quartier generale a Rondissone.

 

1a Brigata (Mag. Gen. Gerbaix de Sonnaz):

Reggimento “Piemonte Reale Cavalleria” (Col. Cusani Confalonieri) alla frazione Boschetto di Chivasso.

Reggimento “Nizza Cavalleria” (Col. Caccia) a Cigliano e uno squadrone avanzato a Livorno (oggi Livorno Ferraris).

 

2a Brigata (Col. Bracorens di Savoiroux):

Reggimento “Savoia Cavalleria” (Col. Brunetta d’Usseaux) alla frazione Mandria di Chivasso, uno squadrone a Verolengo, un plotone all’imbocco del porto natante di sant’Anna (Borgo Revel) sulla Dora Baltea.

Reggimento “Genova Cavalleria” (Col. Signoris di Buronzo) alla frazione Carolina di Caluso. 1a e 2a Batteria d’artiglieria a cavallo “Voloire” alla frazione Mandria di Chivasso.

 

4a Divisione di Fanteria

Comandante: Gen. Enrico Cialdini

Brigata “Regina”, Brigata “Savona” 6° e 7° Bersaglieri

 

Artiglieria 

7a e 8a  batteria da battaglia della 4a Brigata (Mag. Avogadro di Valdengo) a Cigliano. La 1a, 2a e  3a batteria da Battaglia della 2a Brigata (Mag. Celesia) a Brandizzo, 10 a, 11 a e 12 a batteria della 5 a Brigata (Mag. Cugia) a Montanaro.

Nell’attesa dei Francesi i Piemontesi nel settore di difesa del Canavese orientale schieravano 18.600 uomini, 3320 cavalli, 200 pezzi d’artiglieria.

Alcuni movimenti interessarono queste truppe quando gli Austro-Ungarici si attestarono sulla linea Tronzano – Santhià – Salussola – Mongrando – Biella. Allora giunsero di rinforzo un reggimento di Cacciatori delle Alpi e un battaglione di Bersaglieri. Il 9 maggio gli Austro-Ungarici puntarono in direzione di Ivrea, forse per aggirare la linea di difesa del Canavese, ma la strada fu loro tagliata dal “Nizza” e dal “Savoia” cavalleria. Il 10 maggio il “Savoia” si mosse verso Tronzano e il nemio nel pomeriggio abbandonò la posizione. L’11 maggio, essendo chiaro che il nemico non voleva attaccare, le divisioni che presidiavano la linea di difesa ricevettero l’ordine di abbandonarle e di avanzare verso il fiume Sesia, rientrare nei ranghi della 4a  Divisione. La capitale era salva e il Canavese non aveva dovuto subire le offese di un pesante scontro.

iCacciatori Alpi transitano da chivasso il 10 maggio

 

 

 

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