ATTUALITA’. Non è un segreto che la precarizzazione stia cannibalizzando il lavoro, che un contratto a tempo indeterminato quando hai meno di trent’anni sia un miraggio destinato a pochi fortunati, che uno studente, qualora voglia guadagnare qualcosa per pagarsi gli studi, si metta a fare i famosi “lavoretti”, che poggiano su contratti di qualche giorno, qualche settimana, qualche mese.
Questa è proprio la storia di uno studente, il ciriacese Giacomo Verzino, 23 anni, che l’anno scorso, mentre scriveva la tesi di laurea triennale, ha preso la decisione di cominciare a lavorare come driver, consegnando le pizze per conto di una notissima multinazionale della ristorazione.
“Mi ero da poco trasferito a Torino per studiare – racconta – e cercavo un lavoro che mi permettesse di ottenere un po’ più di autonomia dai miei genitori. Ho trovato quest’offerta tramite un’app che ti aiuta a metterti in contatto coi datori di lavoro, che tendenzialmente offrono lavoretti per studenti. C’erano un sacco di incarichi anche della durata di un solo pomeriggio”.
Così si è candidato e poco tempo dopo l’hanno chiamato. “Ho fatto dei colloqui con la selezionatrice dell’app che poi mi ha inviato direttamente a fare un colloquio coi responsabili della multinazionale. Lì mi hanno detto che c’erano grandi margini di flessibilità, e ottime possibilità in fatto di aumento di stipendio (dicevano che si potevano guadagnare anche 1200 euro al mese). Lo stipendio era di 6,50 lordi all’ora. Che, netti, scendevano a 5,60”.
Era l’afoso giugno 2021, e Giacomo avrebbe lavorato come driver fino a fine agosto. Nel corso di quei due mesi i ritmi della sua vita lavorativa cambiavano di settimana in settimana: “Uno dava le proprie disponibilità due settimane prima e la settimana dopo gliele confermavano o rifiutavano per la settimana ancora successiva. Solo in apparenza, quindi, potevi decidere tu quando lavorare, perché loro avevano la possibilità di rifiutare le tue disponibilità”.
E pensare che il tipo di contratto con cui Giacomo è stato assunto fa della flessibilità uno dei suoi punti forti: “Lo chiamano CO.CO.CO., che sta per ‘collaborazione coordinata e continuativa’, ed è uno dei contratti attorno a cui si è accesa di più la discussione Il rapporto di lavoro in un CO.CO.CO. è di parasubordinazione: teoricamente gode di ampi margini di flessibilità ma si hanno delle tutele assimilabili a quelle di un lavoratore subordinato classico”.
Il primo giorno di lavoro gli hanno fatto un corso di formazione accelerato (per così dire…): qualche minuto per spiegargli come funzionava l’organizzazione del locale e il motorino che avrebbe dovuto guidare per consegnare le pizze.
“Sarei stato tenuto a frequentare anche un corso sulla sicurezza che però non mi hanno fatto fare – racconta il ciriacese – . Nel complesso, la formazione è stata quasi nulla”.
Giacomo ha dovuto prendere subito confidenza col motorino, anche perché tutto ciò che faceva era controllato: “I miei movimenti erano monitorati da una piattaforma, che mi indicava un possibile percorso da fare per consegnare una pizza così come il tempo stimato per arrivare a destinazione”.
Di lavoro ce n’era a quintali, e i ritmi erano massacranti: “Teoricamente non c’era nulla che ti obbligasse a rispettare i tempi di consegna che apparivano sullo schermo, ma siccome un’altra sede della stessa catena di pizzerie era stata chiusa gli ordini erano stati sviati sulla nostra sede. Ma il personale era lo stesso, e quindi bisognava sbrigarsi”.
Gli ordini si susseguivano sveltissimi, e i driver cercavano di essere più svelti di loro, cercando di districarsi nel traffico torinese. Il numero di ordinazioni si impennava vertiginosamente il venerdì e il sabato sera, quando ai driver venivano chiesti straordinari di un’ora o un’ora e mezza.
“Io tendenzialmente dicevo di sì; l’unica sera in cui ho detto di no è perché stava diluviando a dirotto, e ciononostante noi continuavamo a fare consegne su quei motorini elettrici mezzi scassati. Alla fine di quelle tre ore e mezza di turno ero persino caduto dal motorino. Ero tornato in sede bagnato fradicio”.
Ma questa è stata un’eccezione. Di solito, Giacomo non si tirava indietro se si trattava di lavorare: “Davo la mia disponibilità per quasi tutte le sere della settimana. A fine agosto avevo fatto centoquindici ore e avevo guadagnato in tutto 489 euro”.
La durata prevista del contratto era di sei mesi, “ma ne ho fatti solo due perché d’inverno non me la sarei sentita di tenere dei ritmi del genere, con una paga del genere e con -2 gradi”. E in effetti, quando il motorino su cui viaggi ha i freni insicuri e il parafango che tocca sul copertone in maniera inquietante, quei cinque euro orari di paga, che già erano pochi, ti sembrano non valere più nulla.