Si è aperto lunedì, in Corte D’Assise a Torino, il processo nei confronti di Nino Diglio, accusato di concorso in omicidio per la morte di Ezio Mollo, il ginecologo di Venaria ucciso nel febbraio del 2008 da Maurizio Marcianò. Secondo il pm Livia Locci, Diglio avrebbe dato una preziosa mano a Marcianò – ex “soldato” della ‘Ndrangheta – nell’organizzare il delitto, compiuto nella tarda serata del 26 febbraio di quasi sei anni fa, in via Palestro.
Un omicidio dettato dalla gelosia, visto che il noto e stimato medico aveva da tempo una relazione con la ex moglie di Marcianò, che per vendicarsi gli sparò due colpi di pistola a bruciapelo: con il rito abbreviato, l’autore del delitto venne condannato a 30 anni.
Lunedì, davanti alla Corte presieduta dal giudice Pietro Capello, Nino Diglio (difeso dall’avvocato Marco Casalis) – che opera da anni nel ramo immobiliare, anche se per gli inquirenti possiede diverse altre attività, fra cui un banco di frutta e verdura ed una carrozzeria, oltre a svolgere operazioni di compravendita di auto e di gestione di slotmachine – è stato sentito a lungo, incalzato dalle domande della Corte e del pm Locci.
Durante l’interrogatorio ha dovuto spiegare come mai il giorno successivo al delitto, quando Marcianò aveva già confessato, aveva raccontato ad alcuni carabinieri, incrociati davanti ad un bar, che era al corrente di cosa fosse accaduto e che non voleva avere problemi con la giustizia.
Per gli inquirenti è stato invece un modo per scagionarsi, per evitare nuovi guai con la giustizia dopo quelli dovuti a reati contro il patrimonio.
Una posizione, quella di Diglio, che sarà vagliata dalla Corte dal prossimo 10 febbraio, quando saranno ascoltati i primi teste alla ripresa del processo e inizieranno ad essere analizzate le accuse di Marcianò nei confronti del presunto complice, visto che l’omicida, nei suoi vari interrogatori, ha più volte ribadito come Diglio lo avesse aiutato nell’organizzare l’agguato, andandolo addirittura a recuperare con un’auto subito dopo aver commesso il delitto.
Nino Diglio era già finito a processo, a Cirié, con l’accusa di favoreggiamento, ma poi il giudice rispedì il tutto in Procura per la riformulazione del capo d’imputazione.
La difesa ha invece ribadito alla Corte come Marcianò sia già stato condannato per calunnia e, di fatto, non attendibile.